martedì 22 febbraio 2011

Fotografia & Società Sesta parte

26-1845-1850-Ritratto di donna con la bocca aperta-Anonimo-Dagherrotipo

Il dagherrotipo rappresenta la prima forma in cui si riproduce il volto e l'atteggiamento di una persona attraverso l'apparato ottico-meccanico. La lunghezza della posa, la lastra d'argento resa simile ad uno specchio e il processo di sviluppo consentivano di ottenere un'immagine estremamente definita dei particolari. In questo ritratto di donna si nota però qualcosa di differente dalla fissità del volto, tipica del dagherrotipo. Il soggetto, forse stanco per la lunga posa, ha aperto la bocca e nella smorfia rivela qualcosa di stonato e duro, complessivamente sgradevole. La signora è rimasta con la bocca aperta e questo fatto rende la riproduzione di questa figura umana più vera di quella che si otterrà poco in futuro, attraverso tempi di posa più rapidi. Una maggiore rapidità della posa permette al soggetto fotografato di tenere maggiormente sotto controllo l'emozione provocata dall'essere posto davanti all'obbiettivo della fotocamera. Se la fotografia, è stato scritto, dilata all'infinito la centralità dell'individuo nella sfera della rappresentazione, essa dovrebbe rivelare anche in modo più scientifico, il carattere della persona. Si sta sollevando il sipario su un altro uso della fotografia che nell'epoca attraversata da una grande fiducia nel progresso e nella scienza, assumerà anche aspetti inquietanti: le caratteristiche del volto, ripreso in primo piano, saranno catalogate in base a principi antropologici e fisiognomici che assegneranno a ciascuno un ruolo preciso in una società basata ancora su rigide discriminazioni di classe.

27-Inizi del XX° secolo-bambino morto-Anonimo-Bromuro d'argento

Tratta da un album di famiglia in cui su ogni fotografia è indicato il nome della persona, questa fotografia eseguita prima della sepoltura di un bambino, non reca alcun nome o indicazione dello studio fotografico. Insieme al ricordo del volto, la fotografia permette ormai di conservare l'espressione del viso quando la vita non c'è più. Di questo bambino, certamente vissuto pochi mesi, resta forse un'unica immagine: quella in cui la vita si è spenta. Si potrà conservare in questo modo il solo e unico ricordo del passaggio sulla terra di una persona prematuramente scomparsa e non ci sono altre immagini eseguite in precedenza. E' come se l'intera vita di questo bambino fosse racchiusa in un unico simulacro, quello della morte che attraverso la fotografia viene in qualche modo negata, consentendo ai genitori di conservare il ricordo di un essere che crescendo avrebbe assunto una sua fisionomia, un suo corpo, un suo carattere. La famiglia a cui doveva appartenere l'album doveva essere di origine contadina  e in un'epoca in cui la mortalità infantile era ancora assai elevata, la possibilità di eseguire il ritratto di un figlio scomparso solo dopo pochi mesi di vita, era un fatto nuovo che si caricava di significati inconsueti per chi aveva affidato da sempre solo al racconto orale, il ricordo dei defunti. Ora accanto alla fotografia del nonno, fotografato anche lui forse un'unica volta nella vita, c'era anche quella del nipote che per uno strano gioco del destino lasciava di se solo un'immagine.
28-1859-1865-Ritratto di giovane uomo-St. Montabone, Torino-Albumina


L'anonimo protagonista di questa carte de visite eseguita dallo studio torinese di Luigi Montabone, un pioniere della fotografia italiana e che come il suo collega Le Lieure, ritrasse molti esponenti della nobiltà piemontese e della casa reale sabauda, cerca di comunicare un atteggiamento di ardita determinazione. Gli occhi ben aperti guardano verso il futuro; i lunghi e virili baffi, forse un po' troppo rispetto all'esile viso, conferiscono al personaggio un tono guerriero che la grande cravatta a fiocco completa e arricchisce, dando al giovane le vesti quasi di un rivoluzionario. L'atteggiamento  con cui il soggetto si pone in questa fotografia potrebbe definirsi volontaristico e funzionale al clima risorgimentale che anima i ceti medio-alti della società italiana da cui provenivano i tanti giovani impegnati nelle battaglie risorgimentali. Forse questa fotografia potrebbe esser stata eseguita prima della partenza per la Seconda Guerra d'Indipendenza del 1859; un'immagine a futura memoria lasciata in dono alla fidanzata,  ai genitori, alla giovane sposa. Se morirò in battaglia, sembra dirci il personaggio, ricordatemi così. La fotografia ormai permette di studiare in pochi momenti l'atteggiamento determinato da un particolare stato d'animo, ed è  il soggetto stesso che può decidere. Questa caratteristica della fotografia, che la differenzia così nettamente dal ritratto tradizionale, diventerà oggetto di una ricerca che continua anche nel nostro tempo. Con l'avvento di nuove sensibilità e una tecnologia più avanzata, il media si libererà dalla subordinazione alla pittura e assumerà la forma di un'arte dotata di caratteristiche proprie, assolutamente diverse dalle altre in cui da sempre era stato lasciato ai posteri il ricordo della figura umana.






29-1907-19010-Circuito automobilistico di Dieppe, auto in corsa e incidente-Anonimo-Bromuro d'argento

Incollate nelle caselle di un campionario di tessuti e filati, una serie di fotografie ci permettono di ricostruire la vita di un'anonima famiglia francese (le didascalie contengono solo alcuni nomi) che visse nei dintorni di Dieppe all'inzio del XX° secolo. Un suo componente, forse anche lui possessore di un'automobile e partecipante alla gara (in una foto c'è un signore alla guida di un'automobile), riuscì a fotografare alcuni momenti di questa corsa entrata nella storia dell'automobilismo: la velocità della vettura fissata per sempre sulla lastra e un incidente che ha rovesciato un'altra automobile sul ciglio della strada. Con la fotografia il fatto viene documentato e rimane per sempre a testimonianza di avvenimenti più o meno importanti. In questo caso si tratta di una competizione praticata con il nuovissimo sport automobilistico, ma presto saranno la guerra, avvenimenti mondani o delittuosi, manifestazioni e incontri politici fondamentali nella storia  mondiale ad essere fotografati per restare come punti di riferimento della memoria collettiva. Sta nascendo un modo assolutamente diverso di apprendere le notizie: al posto del racconto orale o scritto su una pagina di giornale e accompagnato sempre più spesso da un disegno, la fotografia fa conoscere alla gente il fatto nudo e crudo. O almeno quello che s'intende diffondere di un determinato avvenimento. Anche la fotografia è manipolabile e già da tempo è accaduto che i fotografi abbiano fabbricato delle false verità, le fotografie scomode si possono distruggere o sottrarre allo sguardo di un pubblico che diventa un vero e proprio divoratore di immagini. Ma un balzo in avanti è stato compiuto e sarà difficile tornare indietro. Chi fotografò le due autovetture certamente non era un fotoreporter di professione, ma è da immagini come queste che nasce un nuovo mestiere, ed anche un'esigenza: far in modo che la fotografia non serva ancora una volta a mentire. E' una battaglia che continua.

                                                              


Il cerchio è un gioco ormai dimenticato, ma un tempo i bambini ci giocarono tanto e divenne il simbolo di un certo tipo d’infanzia: l’ula-hoop doveva ancora venire, ma è stato un’altra cosa. Il fotografo ha inquadrato la bambina in modo che il cerchio risulti come una doppia cornice  all’interno dell’immagine. Lei ci osserva con i suoi occhioni da un epoca lontana e pensiamo che  si sia molto divertita con il suo cerchio:  ruotare, correre, passarci dentro, entrare e uscire da una sorta di paese delle meraviglie. Sappiamo che l’infanzia, quando venne eseguita questa fotografia, era un’epoca pericolosa per i bambini; un cerchio potevano averlo tutti, in tanti si divertivano a farlo correre sui ciottoli di villaggi e città annerite dal fumo delle ciminiere. Era il tempo in cui i bambini entravano presto nelle fabbriche per apprendere il duro mestiere della vita. Chissà se il cerchio era un giocattolo della  bambina oppure uno dei tanti attrezzi da studio fotografico, adatti a far star fermi i bambini davanti all’obbiettivo? Anni dopo, la donna ormai cresciuta avrà osservato non tanto il suo volto di bambina, ma questo cerchio che le rammentava il tempo di quando la ruota corre e tu non riesci più ad afferrarla, sino al momento in cui la corsa disperata si trasforma in pianto o in una risata, la sua e di chi ti protegge tra  le lunghe gonne di madri, nonne e zie che non ci sono più.


 



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