mercoledì 25 marzo 2015

Museo della fotografia. La sala dell'eterno ritorno.


Il treno, la luce elettrica e i giornali: conoscere e ricordare. Elaborazione fotografica di Stefano Viaggio

Nella terza sala del nostro museo presentiamo un piccola collezione formata da fotografie di luoghi diversi della Francia, raccolta da due signore di cui conosciamo i nomi, Suzanne e Eugenie, ma non i volti. Questa collezione si arricchisce nel tempo: le due amiche, o sorelle, compiono diversi viaggi e acquistano fotografie. Produrre fotografie per i turisti che visitavano monumenti storici o siti particolarmente interessanti divenne negli ultimi decenni del XIX° secolo, una vera e propria impresa commerciale. All'epoca in cui queste due signore viaggiavano la cartolina a buon mercato non era ancora diffusa e le fotografie che si acquistavano erano prodotte da studi fotografici che si specializzarono nella riproduzione di opere d'arte e di monumenti. La classe media in espansione poteva permettersi di viaggiare, acquisire conoscenze e portare a casa il ricordo dei luoghi visitati. Se la fotografia del volto di una persona cara, inserita in una album o custodita in un cassetto, era un momento preciso nella vita di questa persona, la fotografia di un luogo era il ricordo della visita compiuta nel corso di un momento di svago. Occasione non solo per acquisire nuove conoscenze, ma anche momento per la formazione di un'identità nazionale attraverso la storia costruita dalle generazioni precedenti e rappresentata da castelli, cattedrali e paesaggi modificati dalla mano dell'uomo. La fotografia dava la possibilità di poter ricordare con le immagini. Scrivere la data e il luogo sul retro del cartoncino su cui l'immagine era incollata, significava poter ritornare con la memoria su un momento della vita e ricordarne le emozioni.
 
La sala dell'eterno ritorno. Elaborazione fotografica di Stefano Viaggio


Dai castelli di Francia ai ghiacciai del Monte Bianco, le signore che collezionarono queste fotografie erano protagoniste di un mondo nuovo in cui i confini si allargavano sino a diventare ciò che oggi definiamo come il "villaggio globale". Senza l'immagine fotografica tutto questo non sarebbe potuto avvenire. Acquistare, conservare e mostrare luoghi diversi dal proprio cortile di casa, divenne un fatto che alimentò il turismo. Tutto questo era appannaggio di ceti all'epoca ben circoscritti che avevano tempo e denaro per pagarsi una vacanza, ma l'espansione del turismo aveva anche la funzione di esempio: attraverso processi storici non privi di conflitto, la voglia di conoscere cose nuove si estendeva anche a coloro che per il momento ne erano esclusi. Abbiamo scelto solo alcune delle fotografie collezionate dalle due signore e le date riguardano gli anni ottanta e novanta del XIX° secolo. Allora fotografare era ancora un'impresa complessa e faticosa: si preferiva acquistare un'immagine fabbricata da altri.
1884, 26 febbraio: Arles, Les Aliscamps. Studio Autecoeur. Stampa all'albumina.


1884, 9 giugno: Castello di Chenonceau. Stampa all'albumina.


 
1884, 9 agosto: Boulogne-sur-mer, battello per Folkestone. Studio De Mauny. Stampa all'albumina.

1884, 9 agosto: processione religiosa, luogo non indicato. Studio De Mauny. Stampa all'albumina.


1886, 29 aprile: veduta di Rouen. Stampa all'albumina.


1889, 18 aprile: Castello di Cheverney. Studio Miusement, Blois. Stampa all'albumina.


1889, 6 luglio: Cattedrale di Amiens. Studio Caron. Stampa all'albumina.


1890, 21 febbraio: Fontainebleau, stanza di Maria Antonietta. Stampa all'albumina.


1891, 14 settembre: strada da Martigny a Chamonix. Studio Denier. Stampa all'albumina.


1891, 9 novembre: Ghiacciaio di Bossons. Studio Tairraz. Stampa all'albumina.


1892, 6 settembre: Nancy, arco di trionfo. Stampa all'albumina.






giovedì 5 marzo 2015

Museo della fotografia. La sala della donna nuova



Da un album anonimo italiano degli anni 1920-1930. Elaborazione fotografica di Stefano Viaggio.
La seconda sala del nostro museo è dedicata alla nuova immagine della donna mostrata dalle fotografie eseguite dalla gente comune negli anni compresi tra il 1920 e il 1940. Dai capelli alle gonne, tutto sembra accorciarsi e il corpo femminile si libera da tanta stoffa inutile. Insieme a liberarsi delle stoffe, le donne iniziano a liberare la loro mente dai muri fra cui sono costrette a vivere e che sono stati costruiti in secoli di  predominio maschile e di morale religiosa. E' un processo che si accompagna a fatti traumatici: guerre, rivoluzioni, crisi economiche, dittature, migrazioni.  Le fotografie che presentiamo non hanno autori; di alcune delle donne fotografate conosciamo il nome e la data della  fotografia. Sono tratte da album dimenticati e polverosi, posati in terra nei mercatini delle pulci. In questi album ritrovati ci sono fotografie che mostrano l'immagine di uno dei più importanti cambiamenti del mondo contemporaneo. E' un fatto irreversibile e non arrestabile, neanche in quelle parti del mondo che oggi sembrano ricadere nella barbarie del nuovo medio evo.

Elaborazione fotografica di Stefano Viaggio
Perché questa sala si apre con i versi di una famosa canzone italiana di Carlo Buti (1902-1963) e che fu eseguita da protagonisti importanti del mondo delle spettacolo come Luciano Tajoli, Alberto Sordi, Claudio Villa proprio negli anni in cui la donna cambiava? Leggendo il testo della canzone si percepisce l'addio maschile a un certo tipo di donna: è un addio che non nasconde rassegnazione per un mondo che sta per scomparire e anche un certo fastidio. "Addio mia bella signora" è il titolo di un film del 1954, realizzato dal regista Fernando Cerchi e ambientato nel 1915, durante la Prima Guerra Mondiale. Ed è da questo avvenimento che inizia il nostro percorso museale.


Le madri delle donne nuove, anonimo, anni 1890-1900
L'immagine di questa madre amorevole coperta di stoffa e dei suoi figli costretti in panni che ne impacciano i movimenti, è destinata a scomparire dagli album di famiglia e a tornare in un paesaggio diverso. La posizione della donna che si rivolge ai figli seduta sui gradini di una villa abitata da persone di condizione sociale medio-alta, indica la diffusione di fotocamere più maneggevoli e che possono consentire riprese in cui si cerca di superare la staticità di quelle classiche pose in cui la madre sedeva composta in giardino con i bambini accanto. I veri protagonisti di questa fotografia sono i bambini, categoria che da tempo è entrata nella storia della fotografia praticata dalla gente comune. E un'attenzione maggiore verso i bambini, è già il sintomo di un cambiamento nella famiglia e nelle sue strutture gerarchiche.


Collegio femminile, ragazze che cuciono e le loro istitutrici, anonimo francese, anni 1900-1910
Collegio femminile, stiratrici, anonimo francese, anni 1900-1910
Due fotografie che mostrano la vita in un istituto femminile per ragazze di bassa condizione sociale: s'impara a cucire e a stirare. Se esiste una prospettiva al di fuori della famiglia per queste giovani, è l'impiego  come domestiche in case dell'agiata borghesia o forse il mestiere della sarta. Siamo alla vigilia delle Prima Guerra Mondiale e per queste donne che lavorano imparando quella che una volta si definiva "economia domestica", i semplici vestiti di ogni giorno restituiscono l'epoca in cui stavano crescendo le madri delle donne nuove e in cui avanzava un diverso modo di vivere definito oggi come la "società di massa".




Una signora e una bambina posano sotto il monumento ai caduti della città di Alessandria, album anonimo, 1939
Il salto temporale che compiamo con questa fotografia, è di almeno trent'anni. La donna e la bambina si fanno fotografare ai piedi di uno dei simboli dell'Italia di quel tempo: il monumento ai caduti della Prima Guerra Mondiale. Il monumento con il soldato a cavallo richiama le statue equestri del Rinascimento, simbolo dei cavalieri di ventura italiani. L'abbigliamento della donna e della bambina sono molto diversi da quelli delle signore del primo Novecento: capelli e gonne notevolmente accorciate in un giorno di primavera per una fotografia che è anche l'omaggio ai tanti uomini caduti nella guerra finita da ventuno anni. La fotografia è tratta da un album anonimo di una famiglia alessandrina. La donna, forse la zia della bambina, dovrebbe chiamarsi Vera e la vedremo più avanti in un'altra fotografia eseguita l'anno precedente. L'album documenta la vita di una famiglia, dalla fine degli anni trenta all'inizio dei cinquanta. Nella cronologia fotografica c'è un intervallo, gli anni 1944-1945, dovuto alle vicende della guerra nell'Italia del nord. La famiglia a cui apparteneva l'album che si presenta in condizioni non buone, doveva essere provvista di una certa disponibilità: frequenti sono le fotografie di vacanze al mare, in montagna, in altre città italiane e anche fuori dai confini nazionali.


Due cartoline postali italiane con donne in divisa militare, anonimo, anni 1915-1918
Un altro salto temporale, questa volta all'indietro nel tempo. Chi sono queste quattro signore e perché si fanno fotografare in abiti militari negli anni della Grande Guerra? Le due domande rimarranno senza risposta. Possono essere formulate ipotesi e qualche considerazione. La prima ipotesi e forse quella che si avvicina di più alla realtà, è che si tratti di attrici di una compagnia che teneva spettacoli per i soldati. Ci sono poi altre ipotesi: una sceneggiata in famiglia? Una mascheratura in un ospedale militare? Prostitute in un bordello nelle vicinanze del fronte? La risposta a queste domande non verrà e non è importante. Ciò che conta è invece la divisa virilmente maschile e il saluto delle due nei panni di bersaglieri. Gli storici hanno scritto che la Prima Guerra Mondiale fu anche la grande occasione per le donne di assumere un ruolo diverso nella società del mondo occidentale. Occasione solo a metà; alla fine della guerra si cercò di confinare nuovamente le donne al loro ruolo tradizionale, ma alcuni processi inarrestabili si erano innescati. Le donne non parteciparono alla guerra che fu una prova maschile, ma cercarono di entrare nel mondo della guerra svolgendo ruoli diversi e che corrispondono alle domande che abbiamo formulato sopra. Quello più importante fu svolto dalle crocerossine di cui oggi restano migliaia di fotografie. C'è un altro aspetto, diciamo più nascosto, che è stato indagato anche dalla letteratura femminile: il coinvolgimento nel nazionalismo che dominò i popoli impegnati nella guerra. Le donne sentirono di dover fare qualcosa mentre gli uomini morivano al fronte: nel romanzo "Il pozzo della solitudine", pubblicato nel 1928 e prima opera al femminile dichiaratamente omosessuale, la scrittrice britannica Marguerite (John) Radclyffe Hall racconta del suo desiderio di andare al fronte come un uomo e di averlo fatto solo nel ruolo di crocerossina, rischiando in un'occasione la vita durante un bombardamento. Le quattro signore delle cartoline postali mostrano qualcosa di assolutamente differente per una donna e il fatto che queste immagini servano per essere spedite e viste da altri è la spia di una cambiamento che si sta verificando in modo lento, ma irreversibile.

Fotografia di due studentesse eseguita, forse, in Belgio, anonimo, 1920.
La guerra è finita. Le due ragazze di questa fotografia sono ormai molto diverse da quelle del 1914: in cinque anni l'Europa è stata travolta da un uragano che mai nessuno avrebbe immaginato e  niente sarà come prima. La gente vuole vivere, ballare, divertirsi, andare avanti nella vita e dimenticare i lutti. Non sappiamo chi sia tra le due Emilie Denard, forse è quella con un libro in mano e le giovani donne europee stanno accedendo agli studi superiori: é l'inizio di un nuovo mondo e di una nuova cultura. Le due ragazze, fotografate in modo "sbagliato", ma non privo di un certo interesse, indossano cappotti pesanti e il loro aspetto le rende molto simili alle loro coetanee della fine degli anni sessanta, quelle del sessantotto e del femminismo.


Da un album anonimo italiano degli anni 1920-1930. Vacanze al mare di un gruppo di giovani amici.
Si accentua la voglia di liberare il corpo dalla stoffa che lo ricopre. A dispetto di regole e convenzioni al mare si va per fare il bagno e prendere il sole: ci si spoglia. L'album con cui abbiamo aperto la sala, mostra giochi di gruppo sulla spiaggia in cui uomini e donne si confondono e si toccano, fotografie che alla generazione precedente sarebbero sembrate irriverenti con uomini provvisti di ombrellini femminili. Una ragazza mostra le gambe al vento e al sole mentre sulla sabbia si proietta l'inquietante e tentatrice ombra del fotografo. Non siamo ancora alla rivoluzione sessuale del secondo dopoguerra, ma il tempo corre e tempeste ormonali sono nell'aria.


Da un album anonimo italiano degli anni 1920-1930.  
La ragazza distesa non ha paura di mostrare le linee del proprio corpo in una fotografia che sino a pochi anni prima sarebbe stata considerata quasi oscena. Una delle ragazze fotografate in alto addirittura fuma la pipa e le altre due si rivolgono alla fotocamera senza alcuna preoccupazione di assumere una posa particolarmente studiata. La terza indossa un cappotto e un cappello che la fa sembrare simile a un poliziotto americano. Il paesaggio è primaverile e la natura invita a vivere. Con le nuove macchine fotografiche si può fotografare ovunque e la fotografia eseguita in una stanza, con la parte inferiore di un armadio come sfondo, è l'imitazione di un piccolo studio per un corpo liberato che sarà sempre più al centro dell'universo femminile, ma anche maschile.


Una signora e una bambina fotografate in una strada di Alessandria, foto cartolina, 1938.
Nell'album della famiglia di Alessandria abbiamo trovato questa fotografia dell'agosto 1938. La signora (Vera) e la bambina sono le stesse che un anno dopo vengono fotografate ai piedi del monumento ai caduti della città. In alto a destra una piccola fotografia inserita invece nell'album, mostra Vera dieci anni prima, nel 1929. E' fotografata in uno studio, con gli abiti corti al ginocchio e i capelli tagliati alla maschietta, come si diceva a quel tempo. La macchina fotografica nella cartolina del 1938 riesce a catturare perfettamente il movimento dei corpi della donna e la bambina. Le fotocamere dotate di tempi di posa più veloci e le emulsioni sempre più rapide dei negativi, riescono a restituirci l'immagine delle persone nei luoghi dove abitualmente si muovono. Il contesto urbano diventerà pian piano un paesaggio fotografico in cui mostrare momenti di vita reale della gente e in particolare delle donne.


Un gruppo di giovani operaie o impiegate, anonimo italiano, anni 1945-1950.
Forse queste giovani donne sono appena uscite da una fabbrica, forse sono ritratte durante una gita aziendale. C'è una dimensione che le lega: il lavoro. A distanza di anni, la sconosciuta proprietaria di questa fotografia dirà a sua figlia: "queste erano le mie compagne di lavoro" e  ne riconoscerà i volti.  Sono le madri delle donne nuovissime e protagoniste di una società in cui il lavoro è la dimensione della dignità della persona. Negli anni cinquanta e sessanta, queste ragazze conosceranno la televisione, gli elettrodomestici, guideranno le automobili, rivendicheranno i loro diritti, conquisteranno il divorzio e una maternità consapevole. E' un mondo nuovo che si spalanca davanti agli occhi delle ragazze.
         


martedì 24 febbraio 2015

Museo della fotografia. La sala della vita e della morte.


La sala della vita e della morte. Elaborazione fotografica di Stefano Viaggio da due carte de visite e una fotografia al bromuro d'argento


Al fotografo, a qualunque livello si dispieghi la sua capacità, dall'artista al dilettante, spetta il compito di registrare la vita e quindi lo scorrere del tempo che porta verso la fine naturale dell'individuo o al mutare di un paesaggio. Per il professionista fotografare è un atto vitale e più raramente si viene chiamati a fotografare una persona deceduta, a meno che non si tratti di fotografie legate a inchieste giudiziarie. Nei primi anni della storia della fotografia molte persone anziane vennero fotografate una sola volta, ma lentamente la fotografia si affermò come il mezzo più semplice ed economico per fissare momenti di vita di una singola persona.  Sfogliando album che hanno conservato l'impianto originale della famiglia di appartenenza senza subire mutilazioni o sostituzioni, si possono riconoscere i membri della famiglia bambini, poi giovani e infine adulti. Momento importante è il matrimonio, occasione in cui si esegue una fotografia di gruppo (come del resto anche oggi) in cui è possibile riconoscere nonni, zii, sorelle, fratelli degli sposi. Con l'avvento della carte de visite la diffusione della fotografia subisce un processo di accelerazione a livello mondiale. La carte de visite significa non solo lo scambio di immagini spesso accompagnate da una dedica, ma anche la conservazione di esse in appositi album e il loro utilizzo in caso di morte della persona amata o amica.
Nella sala che apre il nostro museo, la vita occupa lo spazio maggiore, ma ci sono anche brevi incursioni sul tema della morte o quantomeno dell'inquietudine che può provocare la visione di una fotografia in cui il caso ha voluto che nel fotogramma entrasse qualcosa che non doveva entrare. La vita è consapevolezza della propria bellezza, una dedica per la persona amata, un quieto pomeriggio d'estate trascorso sul balcone di casa, una vacanza al mare in cui si è vinto un premio per il miglior castello di sabbia e innanzitutto un bambino appena nato o che sta crescendo.
Le fotografie sono comprese tra gli anni 1860 e 1940, alcune sono state eseguite presso studi fotografici altre sono anonime. Le pareti di questa sala immaginaria, sono muri di palazzi e cortili fotografati nella città di Aosta.


Il fotografo. Anonimo. Album di provenienza francese senza alcuna possibilità di identificazione. Anni 1920-1930. Stampa al bromuro d'argento.
Il fotografo di una fotografia, a meno che non si ritragga inquadrando se stesso e la fotocamera in uno specchio, non appare se non come ombra proiettata sul terreno dalla luce alle sue spalle. Il momento fotografato potrebbe essere un momento di vacanza in una casa in campagna, il gruppo di parenti o amici si raduna davanti alla porta della casa e qualcuno scatta una fotografia per ricordare una piacevole giornata in cui il lavoro e i problemi della vita quotidiana sono stati per un momento dimenticati.


Carte de visite con dedica. Ritratto di un giovane. Studio Fotografico A. Dupuy, Nimes. Albumina, 1865-1870.
Il giovane dedica il suo ritratto al fotografo che lo ha eseguito, il quale successivamente lo inserisce nell'album in cui raccoglie fotografie del suo studio. Forse il giovane è un attore perché nell'album ci sono altre cartes, sempre di Dupuy di Nimes, con persone in costume. Certamente questo signore ha una forte considerazione di se: si definisce l'Apollo di Belvedere. E' un bel giovane, ma forse esagera e per il momento non ha paura del tempo che lo farà invecchiare.


Fotografia anonima. Bromuro d'argento, anni 1930-1935.
Mare, vacanze e castelli di sabbia per un concorso sulla spiaggia. Le bambine di questa famiglia hanno vinto il primo premio e tutti sono felici in posa per l'amico o il parente che ha con se lo strumento per fissare questo momento. La bambina più piccola guarda verso i genitori e forse le sembra strano quest'attimo di vita in cui qualcuno dice "attenzione!". L'inquadratura involontariamente include anche parte di una bicicletta: è il simbolo della vita all'aria aperta in quegli anni in cui si avvicinava il dramma della guerra.


Carte de visite di una giovane donna. Studio Cheri Rousseau & Fils, Marsiglia. Anni 1880-1890. Stampa all'albumina.
Come in altre cartes de visite la figura emerge da uno sfondo oscuro, è possibile che sia la rielaborazione da un'altra fotografia e lo sguardo della giovane donna non è rivolto verso l'obbiettivo del fotografo, ma verso qualcosa di indefinibile. Gli occhi appaiono stanchi e gonfi. Cosa ci fa dire che questa persona è morta? Una piccola crocetta, posta in basso sul retro della carte de visite. A volte il fotografo conserva una copia delle immagini che ha stampato e se la persona è deceduta pone un segno destinato a testimoniarne la morte. Questa fotografia è ciò che resta di una vita.


 
Carte de visite con ritratto di un uomo sui trent'anni, senza indicazione dello studio fotografico.
Sul retro la seguente dedica: a mon cher ami Micholer Jph Dulce pignus amoris Civitatensis die 4 aprilis anno domini 1869 Costanza.
Colei che firma si rivolge alla persona fotografata come ad un amico, ma aggiunge che il ritratto dell'uomo è un dolce pegno d'amore. Siamo nel 1869 nel porto di La Ciotat( Civitatensis vuol dire fiero di essere cittadino di La Ciotat): è il luogo in cui i fratelli Lumiere filmeranno l'arrivo del treno. Nasce il cinema. Quanta vita racchiude questa fotografia con questa dedica in latino sul retro e in cui è ritratto il volto di un uomo dall'atteggiamento molto serio, forse un ufficiale della marina francese. La carte è in un album che contiene diverse fotografie di ufficiali di marina all'epoca dell'espansione coloniale e in quegli anni i viaggi per mare duravano mesi e anche anni. La grafia minuta e precisa della dedica, la firma elegante di Costanza indicano che doveva trattarsi di persone poste a un certo livello sociale e culturale. Scrivere in latino non era alla portata di tutti e una frase del genere sul retro di una carte de visite andava al di là di un normale gesto di amicizia. Quanto amore racchiude questa fotografia? Ci piacerebbe osservare il volto di Costanza, ma nell'album se c'è una sua fotografia è priva del nome o di una dedica.

L'ascensore. Anonimo. Stampa al bromuro d'argento, anni 1930-1940.
Questa immagine proviene dallo stesso album dal quale abbiamo tratto quella che apre questa stanza e dedicata all'ombra del fotografo. E' una fotografia che sarebbe piaciuta ai surrealisti: il gruppo di funzionari o uomini d'affari sta uscendo da una riunione, il fotografo coglie il momento preciso in cui sale l'ascensore e fissa il personaggio all'interno della cabina. E' solo un'ombra inquietante che appare dietro la griglia e per questi signori soddisfatti e seri, è come un avvertimento. E' la morte con occhiali e cappello? E' una prossima crisi finanziaria o economica? E' la cattiva coscienza per affari non del tutto leciti? E' la catastrofe della guerra che si avvicina? E' l'ebreo prossimo alla deportazione che augura un sinistro "buona fortuna", come nel bellissimo film di Losey "Mr klein"? Chi vuole può scegliere. Il contrasto tra i quattro signori e l'ombra che appare inquietante è il frutto del caso, della luce e del mistero fotografico.


Ritratto di ragazza sconosciuta, Studio Blanc, Parigi, anni 1890-1900.
Questa giovane donna è il ritratto della gioventù: di lei non sappiamo se visse a lungo, se morì giovane, se ebbe dei figli, se fu felice o triste. Lei guarda verso un punto immaginario e segue le indicazioni del fotografo, ma nello sguardo e nella tensione del volto c'è la volontà di andare avanti e vivere.



Carte de visite con due sorelline. Studio Fotografico A. Dupuy, Nimes. Albumina. Anni 1865-1870.
Con la fotografia la media borghesia riesce a conservare il ritratto dei propri figli mentre crescono. Le due bambine ritratte da quel Dupuy a cui il giovane che si autodefinisce l'Apollo di Belvedere ha fatto dono della sua fotografia, sono l'immagine della compostezza e di un'educazione che osserva principi morali che dovrebbero durare per sempre. Non sarà così. Citazione e omaggio alla fotografia è l'album posato sul piccolo tavolo che è servito come base d'appoggio per le due fanciulle di cui si mostrano le lunghe mutande orlate di pizzo.

Pomeriggio sul balcone in una giornata di sole dopo il pranzo. Stampa all'albumina. Anni 1880-1890. Anonimo.
L'immagine evoca la tranquillità di un pomeriggio estivo e anche questa è vita che scorre tra una fumata di pia e una tazzina di caffè; il cane è tranquillo ai piedi del padrone e anche di lui resterà l'immagine, forse il suo nome verrà ricordato. Chissà a cosa pensa la signora che gira il caffè nella tazzina?



Una nuova vita mostrata al fotografo. Anonimo. Anni 1900-1910.
Nell'album questa era una piccola immagine ritagliata ed inserita nel cotesto di altre fotografie che raccontavano le vacanze al mare. Questo bambino di pochi mesi viene fotografato e crescendo lo sarà molte altre volte; vivrà nel Novecento, il secolo dominato dalla fotografia e da tante altre cose belle e brutte, anzi molto brutte. La fotografia gli permetterà però di osservarsi quando era appena in fasce tra le braccia di sua madre, poi un po' più grande, poi adulto e infine da persona anziana, se ci arriverà. Una vita, insomma.  





lunedì 16 febbraio 2015

Museo della fotografia. Presentazione. La caverna di Platone




Madame Lerroux, elaborazione fotografica di Stefano Viaggio, febbraio 2015

Il conflitto tra apparenza e conoscenza è dentro la storia della fotografia. Ritenuta, nei primi cinquant'anni della sua storia, la più esatta riproduzione della realtà e per questo rigettata da intellettuali come Baudelaire in nome della contrapposizione tra la sensibilità per la  bellezza riservata a pochi e la volgarità della società di massa, la fotografia è considerata oggi come qualcosa di non facilmente decifrabile. Che cos'è il volto di un uomo o di una donna ritratto in una fotografia, se non l'ombra di un momento nel passaggio reale di questa persona lungo gli anni della sua vita, dalla nascita alla morte? Cosa è accaduto, accade o accadrà in un paesaggio fotografato in una bella giornata di sole? Quale archetipo evoca il particolare di un oggetto di uso comune? Che idea suggerisce un segno tracciato su un muro o lo strappo di più manifesti incollati su una bacheca nel corso del tempo?
Il processo fotografico appare misterioso e di difficile comprensione alla massa di coloro che abitualmente fotografano e anche l'introduzione delle fotocamere digitali non ha aiutato la conoscenza di ciò che significa quella "camera obscura" che affascinò coloro che cercarono di carpire un'immagine del reale con il solo aiuto della luce naturale. Questa  successioni di luoghi bui (l'interno della fotocamera e della stanza in cui si sviluppano e si stampano le copie positive) ha suggerito ad alcuni studiosi di proporre come prima riflessione sulla fotografia, il famoso mito della caverna di Platone di cui presentiamo il testo e che evoca il perenne conflitto tra l'apparenza dell'ombra e la faticosa conoscenza del reale.

da L'Illustrazione popolare, 18176

da Repubblica di Platone [dialogo tra Socrate e Glaucone]
1 [514 a]– In séguito, continuai, paragona la nostra natura, per ciò che riguarda educazione e mancanza di educazione, a un’immagine come questa. Dentro una dimora sotterranea a forma di caverna, con l’entrata aperta alla luce e ampia quanto tutta la larghezza della caverna, pensa di vedere degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, sì da dover restare fermi e da poter vedere soltanto in avanti, incapaci, a causa della catena, di volgere attorno il capo. Alta e lontana brilli alle loro spalle la luce d’un fuoco e tra il fuoco e i prigionieri corra rialzata una strada. Lungo questa pensa di vedere costruito un muricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare al di sopra di essi i burattini. – Vedo, rispose. – Immagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolo oggetti [c] di ogni sorta sporgenti dal margine, e statue e altre [515 a] figure di pietra e di legno, in qualunque modo lavorate; e, come è naturale, alcuni portatori parlano, altri tacciono. – Strana immagine è la tua, disse, e strani sono quei prigionieri. – Somigliano a noi, risposi; credi che tali persone possano vedere, anzitutto di sé e dei compagni, altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte? – E come possono, replicò, se sono costretti a tenere immobile il  capo per tutta la vita? – E per gli oggetti trasportati non è lo stesso? – Sicuramente. – Se quei prigionieri potessero conversare tra loro, non credi che penserebbero di chiamare oggetti reali le loro visioni? – Per forza. – E se la prigione avesse pure un’eco dalla parete di fronte? Ogni volta che uno dei passanti facesse sentire la sua voce, credi che la giudicherebbero diversa da quella dell’ombra che passa? – Io no, per Zeus!, [c] rispose. – Per tali persone insomma, feci io, la verità non può essere altro che le ombre degli oggetti artificiali. – Per forza, ammise. –

Da L'Illustrazione Popolare 1876

Le ombre dei burattini e l'artificio dei burattinai, i giochi con la luce che proietta sui muri ombre misteriose divennero veri e propri spettacoli che si organizzavano i locali pubblici e privati, prima (ma anche dopo) che Niepce e Daguerre  mostrassero al mondo che era possibile realizzare un'immagine con uno strumento meccanico. Il sogno era trasformare  quell'ombra così lungamente studiata da alchimisti, artisti e intellettuali in un oggetto, rappresentato materialmente dalla lastra fotografica che riproduceva un luogo, un monumento, il ritratto di una persona. Ma la conoscenza del reale è difficile: come nella storia della vita tentativi e prove fallite hanno accompagnato l'evoluzione della specie, così la strada della conoscenza si presenta ardua da percorrere. Platone immagina che un prigioniero della caverna venga liberato e improvvisamente portato alla luce e all'aria aperta.
Da un album svizzero anonimo (denominato verde, dal colore della copertina), una fotografia probabilmente acquistata durante una vacanza dei proprietari nei pressi del Lago di Lucerna. Anni 1900-1910, stampa al bromuro d'argento: non ci sono indicazioni sull'autore o sulla società distributrice. In sintonia con il mito del progresso, molto forte all'inizio del XX° secolo, la luce della lanterna sconfigge l'oscurità del mondo sotterraneo e, attraverso la fotografia, rivela luoghi nascosti e inesplorati.
Da Repubblica di Platone
– Esamina ora, ripresi, come potrebbero sciogliersi dalle catene e guarire dall’incoscienza. Ammetti che capitasse loro naturalmente un caso come questo: che uno fosse sciolto, costretto improvvisamente ad alzarsi, a girare attorno il capo, a camminare e levare lo sguardo alla luce; e che così facendo provasse dolore e il barbaglio lo rendesse incapace di [d] scorgere quegli oggetti di cui prima vedeva le ombre. Che cosa credi che risponderebbe, se gli si dicesse che prima vedeva vacuità prive di senso, ma che ora, essendo più vicino a ciò che è ed essendo rivolto verso oggetti aventi più essere, può vedere meglio? e se, mostrandogli anche ciascuno degli oggetti che passano, gli si domandasse e lo si costringesse a rispondere che cosa è? Non credi che rimarrebbe dubbioso e giudicherebbe più vere le cose che vedeva prima di quelle che gli fossero mostrate adesso? – Certo, rispose. 2 [e] – E se lo si costringesse a guardare la luce stessa, non sentirebbe male agli occhi e non fuggirebbe volgendosi verso gli oggetti di cui può sostenere la vista? e non li giudicherebbe realmente più chiari di quelli che gli fossero mostrati? – È così, rispose. – Se poi, continuai, lo si trascinasse via di lí a forza, su per l’ascesa scabra ed erta, e non lo si lasciasse prima di averlo tratto alla luce del sole, non ne soffrirebbe e non s’irriterebbe [516 a] di essere trascinato? E, giunto alla luce, essendo i suoi occhi abbagliati, non potrebbe vedere nemmeno una delle cose che ora sono dette vere. – Non potrebbe, certo, rispose, almeno all’improvviso. – Dovrebbe, credo, abituarvisi, se vuole vedere il mondo superiore. E prima osserverà, molto facilmente, le ombre e poi le immagini degli esseri umani e degli altri oggetti nei loro riflessi nell’acqua, e infine gli oggetti stessi; da questi poi, volgendo lo sguardo alla luce delle stelle e della luna, [b] potrà contemplare di notte i corpi celesti e il cielo stesso più facilmente che durante il giorno il sole e la luce del sole. – Come no? – Alla fine, credo, potrà osservare e contemplare quale è veramente il sole, non le sue immagini nelle acque o su altra superficie, ma il sole in se stesso, nella regione che gli è propria. – Per forza, disse. – Dopo di che, parlando del sole, potrebbe già concludere che è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile, e ad essere [c] causa, in certo modo, di tutto quello che egli e i suoi compagni vedevano. – È chiaro, rispose, che con simili esperienze concluderà così. – E ricordandosi della sua prima dimora e della sapienza che aveva colà e di quei suoi compagni di prigionia, non credi che si sentirebbe felice del mutamento e proverebbe pietà per loro? – Certo. – Quanto agli onori ed elogi che eventualmente si scambiavano allora, e ai primi riservati a chi fosse più acuto nell’osservare gli oggetti che passavano e più [d] rammentasse quanti ne solevano sfilare prima e poi e insieme, indovinandone perciò il successivo, credi che li ambirebbe e che invidierebbe quelli che tra i prigionieri avessero onori e potenza? o che si troverebbe nella condizione detta da Omero e preferirebbe “altrui per salario servir da contadino, uomo sia pur senza sostanza”, e patire di tutto piuttosto che avere quelle opinioni e vivere in quel modo? – Così penso anch’io, rispose; [e] accetterebbe di patire di tutto piuttosto che vivere in quel modo. – Rifletti ora anche su quest’altro punto, feci io. Se il nostro uomo ridiscendesse e si rimettesse a sedere sul medesimo sedile, non avrebbe gli occhi pieni di tenebra, venendo all’improvviso dal sole? – Sì, certo, rispose. – E se dovesse discernere nuovamente quelle ombre e contendere con coloro che sono rimasti sempre prigionieri, nel periodo in cui ha la vista offuscata, prima [517 a] che gli occhi tornino allo stato normale? e se questo periodo in cui rifà l’abitudine fosse piuttosto lungo? Non sarebbe egli allora oggetto di riso? e non si direbbe di lui che dalla sua ascesa torna con gli occhi rovinati e che non vale neppure la pena di tentare di andar su? E chi prendesse a sciogliere e a condurre su quei prigionieri, forse che non l’ucciderebbero, se potessero averlo tra le mani e ammazzarlo? – Certamente, rispose. [...]
da Repubblica di Platone, Opere, vol. II, Laterza, Bari, 1967, pagg. 339-342, il testo è tratto dal sito: http://www.liceomanara.it/sites/default/files/programmi1/antologia_Platone_miti.pdf
da L'Illustrazione popolare, 1876
La posa fotografica di lunga durata o della frazione di un secondo presuppone un cambiamento nello stato d'animo di chi fotografa e di chi è fotografato. E' come una sospensione che coinvolge non solo il corpo. Nel momento in cui si è fotografati qualcosa passa nella nostra testa, insieme a tanti pensieri può accadere che ne venga uno: dove finirà questa fotografia? E insieme a questo  è possibile un altro: come sarò in questa fotografia? E poi ancora: che uso faranno della mia immagine? Chi fotografa non può fare a meno di subire un'altra emozione: la conoscenza e l'esplorazione, anche di un volto amato o di un luogo assolutamente noto. Ogni fotogramma è diverso da quello precedente o seguente. Turbamento e conoscenza si unificano nell'atto fotografico ed è per questo che la fotografia è affascinante. Ci sono persone che non amano essere fotografate o fotografare, è come se il dover violare o attraversare per un attimo la caverna oscura di Platone le intimorisse. Nelle stanze immaginarie di questo museo immaginario, cercheremo di dare qualche risposta alle domande che abbiamo appena posto, forse anche in modo arbitrario.

La prima stanza in cui entreremo nel prossimo articolo è quella della "vita e della morte".