giovedì 5 marzo 2015

Museo della fotografia. La sala della donna nuova



Da un album anonimo italiano degli anni 1920-1930. Elaborazione fotografica di Stefano Viaggio.
La seconda sala del nostro museo è dedicata alla nuova immagine della donna mostrata dalle fotografie eseguite dalla gente comune negli anni compresi tra il 1920 e il 1940. Dai capelli alle gonne, tutto sembra accorciarsi e il corpo femminile si libera da tanta stoffa inutile. Insieme a liberarsi delle stoffe, le donne iniziano a liberare la loro mente dai muri fra cui sono costrette a vivere e che sono stati costruiti in secoli di  predominio maschile e di morale religiosa. E' un processo che si accompagna a fatti traumatici: guerre, rivoluzioni, crisi economiche, dittature, migrazioni.  Le fotografie che presentiamo non hanno autori; di alcune delle donne fotografate conosciamo il nome e la data della  fotografia. Sono tratte da album dimenticati e polverosi, posati in terra nei mercatini delle pulci. In questi album ritrovati ci sono fotografie che mostrano l'immagine di uno dei più importanti cambiamenti del mondo contemporaneo. E' un fatto irreversibile e non arrestabile, neanche in quelle parti del mondo che oggi sembrano ricadere nella barbarie del nuovo medio evo.

Elaborazione fotografica di Stefano Viaggio
Perché questa sala si apre con i versi di una famosa canzone italiana di Carlo Buti (1902-1963) e che fu eseguita da protagonisti importanti del mondo delle spettacolo come Luciano Tajoli, Alberto Sordi, Claudio Villa proprio negli anni in cui la donna cambiava? Leggendo il testo della canzone si percepisce l'addio maschile a un certo tipo di donna: è un addio che non nasconde rassegnazione per un mondo che sta per scomparire e anche un certo fastidio. "Addio mia bella signora" è il titolo di un film del 1954, realizzato dal regista Fernando Cerchi e ambientato nel 1915, durante la Prima Guerra Mondiale. Ed è da questo avvenimento che inizia il nostro percorso museale.


Le madri delle donne nuove, anonimo, anni 1890-1900
L'immagine di questa madre amorevole coperta di stoffa e dei suoi figli costretti in panni che ne impacciano i movimenti, è destinata a scomparire dagli album di famiglia e a tornare in un paesaggio diverso. La posizione della donna che si rivolge ai figli seduta sui gradini di una villa abitata da persone di condizione sociale medio-alta, indica la diffusione di fotocamere più maneggevoli e che possono consentire riprese in cui si cerca di superare la staticità di quelle classiche pose in cui la madre sedeva composta in giardino con i bambini accanto. I veri protagonisti di questa fotografia sono i bambini, categoria che da tempo è entrata nella storia della fotografia praticata dalla gente comune. E un'attenzione maggiore verso i bambini, è già il sintomo di un cambiamento nella famiglia e nelle sue strutture gerarchiche.


Collegio femminile, ragazze che cuciono e le loro istitutrici, anonimo francese, anni 1900-1910
Collegio femminile, stiratrici, anonimo francese, anni 1900-1910
Due fotografie che mostrano la vita in un istituto femminile per ragazze di bassa condizione sociale: s'impara a cucire e a stirare. Se esiste una prospettiva al di fuori della famiglia per queste giovani, è l'impiego  come domestiche in case dell'agiata borghesia o forse il mestiere della sarta. Siamo alla vigilia delle Prima Guerra Mondiale e per queste donne che lavorano imparando quella che una volta si definiva "economia domestica", i semplici vestiti di ogni giorno restituiscono l'epoca in cui stavano crescendo le madri delle donne nuove e in cui avanzava un diverso modo di vivere definito oggi come la "società di massa".




Una signora e una bambina posano sotto il monumento ai caduti della città di Alessandria, album anonimo, 1939
Il salto temporale che compiamo con questa fotografia, è di almeno trent'anni. La donna e la bambina si fanno fotografare ai piedi di uno dei simboli dell'Italia di quel tempo: il monumento ai caduti della Prima Guerra Mondiale. Il monumento con il soldato a cavallo richiama le statue equestri del Rinascimento, simbolo dei cavalieri di ventura italiani. L'abbigliamento della donna e della bambina sono molto diversi da quelli delle signore del primo Novecento: capelli e gonne notevolmente accorciate in un giorno di primavera per una fotografia che è anche l'omaggio ai tanti uomini caduti nella guerra finita da ventuno anni. La fotografia è tratta da un album anonimo di una famiglia alessandrina. La donna, forse la zia della bambina, dovrebbe chiamarsi Vera e la vedremo più avanti in un'altra fotografia eseguita l'anno precedente. L'album documenta la vita di una famiglia, dalla fine degli anni trenta all'inizio dei cinquanta. Nella cronologia fotografica c'è un intervallo, gli anni 1944-1945, dovuto alle vicende della guerra nell'Italia del nord. La famiglia a cui apparteneva l'album che si presenta in condizioni non buone, doveva essere provvista di una certa disponibilità: frequenti sono le fotografie di vacanze al mare, in montagna, in altre città italiane e anche fuori dai confini nazionali.


Due cartoline postali italiane con donne in divisa militare, anonimo, anni 1915-1918
Un altro salto temporale, questa volta all'indietro nel tempo. Chi sono queste quattro signore e perché si fanno fotografare in abiti militari negli anni della Grande Guerra? Le due domande rimarranno senza risposta. Possono essere formulate ipotesi e qualche considerazione. La prima ipotesi e forse quella che si avvicina di più alla realtà, è che si tratti di attrici di una compagnia che teneva spettacoli per i soldati. Ci sono poi altre ipotesi: una sceneggiata in famiglia? Una mascheratura in un ospedale militare? Prostitute in un bordello nelle vicinanze del fronte? La risposta a queste domande non verrà e non è importante. Ciò che conta è invece la divisa virilmente maschile e il saluto delle due nei panni di bersaglieri. Gli storici hanno scritto che la Prima Guerra Mondiale fu anche la grande occasione per le donne di assumere un ruolo diverso nella società del mondo occidentale. Occasione solo a metà; alla fine della guerra si cercò di confinare nuovamente le donne al loro ruolo tradizionale, ma alcuni processi inarrestabili si erano innescati. Le donne non parteciparono alla guerra che fu una prova maschile, ma cercarono di entrare nel mondo della guerra svolgendo ruoli diversi e che corrispondono alle domande che abbiamo formulato sopra. Quello più importante fu svolto dalle crocerossine di cui oggi restano migliaia di fotografie. C'è un altro aspetto, diciamo più nascosto, che è stato indagato anche dalla letteratura femminile: il coinvolgimento nel nazionalismo che dominò i popoli impegnati nella guerra. Le donne sentirono di dover fare qualcosa mentre gli uomini morivano al fronte: nel romanzo "Il pozzo della solitudine", pubblicato nel 1928 e prima opera al femminile dichiaratamente omosessuale, la scrittrice britannica Marguerite (John) Radclyffe Hall racconta del suo desiderio di andare al fronte come un uomo e di averlo fatto solo nel ruolo di crocerossina, rischiando in un'occasione la vita durante un bombardamento. Le quattro signore delle cartoline postali mostrano qualcosa di assolutamente differente per una donna e il fatto che queste immagini servano per essere spedite e viste da altri è la spia di una cambiamento che si sta verificando in modo lento, ma irreversibile.

Fotografia di due studentesse eseguita, forse, in Belgio, anonimo, 1920.
La guerra è finita. Le due ragazze di questa fotografia sono ormai molto diverse da quelle del 1914: in cinque anni l'Europa è stata travolta da un uragano che mai nessuno avrebbe immaginato e  niente sarà come prima. La gente vuole vivere, ballare, divertirsi, andare avanti nella vita e dimenticare i lutti. Non sappiamo chi sia tra le due Emilie Denard, forse è quella con un libro in mano e le giovani donne europee stanno accedendo agli studi superiori: é l'inizio di un nuovo mondo e di una nuova cultura. Le due ragazze, fotografate in modo "sbagliato", ma non privo di un certo interesse, indossano cappotti pesanti e il loro aspetto le rende molto simili alle loro coetanee della fine degli anni sessanta, quelle del sessantotto e del femminismo.


Da un album anonimo italiano degli anni 1920-1930. Vacanze al mare di un gruppo di giovani amici.
Si accentua la voglia di liberare il corpo dalla stoffa che lo ricopre. A dispetto di regole e convenzioni al mare si va per fare il bagno e prendere il sole: ci si spoglia. L'album con cui abbiamo aperto la sala, mostra giochi di gruppo sulla spiaggia in cui uomini e donne si confondono e si toccano, fotografie che alla generazione precedente sarebbero sembrate irriverenti con uomini provvisti di ombrellini femminili. Una ragazza mostra le gambe al vento e al sole mentre sulla sabbia si proietta l'inquietante e tentatrice ombra del fotografo. Non siamo ancora alla rivoluzione sessuale del secondo dopoguerra, ma il tempo corre e tempeste ormonali sono nell'aria.


Da un album anonimo italiano degli anni 1920-1930.  
La ragazza distesa non ha paura di mostrare le linee del proprio corpo in una fotografia che sino a pochi anni prima sarebbe stata considerata quasi oscena. Una delle ragazze fotografate in alto addirittura fuma la pipa e le altre due si rivolgono alla fotocamera senza alcuna preoccupazione di assumere una posa particolarmente studiata. La terza indossa un cappotto e un cappello che la fa sembrare simile a un poliziotto americano. Il paesaggio è primaverile e la natura invita a vivere. Con le nuove macchine fotografiche si può fotografare ovunque e la fotografia eseguita in una stanza, con la parte inferiore di un armadio come sfondo, è l'imitazione di un piccolo studio per un corpo liberato che sarà sempre più al centro dell'universo femminile, ma anche maschile.


Una signora e una bambina fotografate in una strada di Alessandria, foto cartolina, 1938.
Nell'album della famiglia di Alessandria abbiamo trovato questa fotografia dell'agosto 1938. La signora (Vera) e la bambina sono le stesse che un anno dopo vengono fotografate ai piedi del monumento ai caduti della città. In alto a destra una piccola fotografia inserita invece nell'album, mostra Vera dieci anni prima, nel 1929. E' fotografata in uno studio, con gli abiti corti al ginocchio e i capelli tagliati alla maschietta, come si diceva a quel tempo. La macchina fotografica nella cartolina del 1938 riesce a catturare perfettamente il movimento dei corpi della donna e la bambina. Le fotocamere dotate di tempi di posa più veloci e le emulsioni sempre più rapide dei negativi, riescono a restituirci l'immagine delle persone nei luoghi dove abitualmente si muovono. Il contesto urbano diventerà pian piano un paesaggio fotografico in cui mostrare momenti di vita reale della gente e in particolare delle donne.


Un gruppo di giovani operaie o impiegate, anonimo italiano, anni 1945-1950.
Forse queste giovani donne sono appena uscite da una fabbrica, forse sono ritratte durante una gita aziendale. C'è una dimensione che le lega: il lavoro. A distanza di anni, la sconosciuta proprietaria di questa fotografia dirà a sua figlia: "queste erano le mie compagne di lavoro" e  ne riconoscerà i volti.  Sono le madri delle donne nuovissime e protagoniste di una società in cui il lavoro è la dimensione della dignità della persona. Negli anni cinquanta e sessanta, queste ragazze conosceranno la televisione, gli elettrodomestici, guideranno le automobili, rivendicheranno i loro diritti, conquisteranno il divorzio e una maternità consapevole. E' un mondo nuovo che si spalanca davanti agli occhi delle ragazze.
         


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