martedì 24 febbraio 2015

Museo della fotografia. La sala della vita e della morte.


La sala della vita e della morte. Elaborazione fotografica di Stefano Viaggio da due carte de visite e una fotografia al bromuro d'argento


Al fotografo, a qualunque livello si dispieghi la sua capacità, dall'artista al dilettante, spetta il compito di registrare la vita e quindi lo scorrere del tempo che porta verso la fine naturale dell'individuo o al mutare di un paesaggio. Per il professionista fotografare è un atto vitale e più raramente si viene chiamati a fotografare una persona deceduta, a meno che non si tratti di fotografie legate a inchieste giudiziarie. Nei primi anni della storia della fotografia molte persone anziane vennero fotografate una sola volta, ma lentamente la fotografia si affermò come il mezzo più semplice ed economico per fissare momenti di vita di una singola persona.  Sfogliando album che hanno conservato l'impianto originale della famiglia di appartenenza senza subire mutilazioni o sostituzioni, si possono riconoscere i membri della famiglia bambini, poi giovani e infine adulti. Momento importante è il matrimonio, occasione in cui si esegue una fotografia di gruppo (come del resto anche oggi) in cui è possibile riconoscere nonni, zii, sorelle, fratelli degli sposi. Con l'avvento della carte de visite la diffusione della fotografia subisce un processo di accelerazione a livello mondiale. La carte de visite significa non solo lo scambio di immagini spesso accompagnate da una dedica, ma anche la conservazione di esse in appositi album e il loro utilizzo in caso di morte della persona amata o amica.
Nella sala che apre il nostro museo, la vita occupa lo spazio maggiore, ma ci sono anche brevi incursioni sul tema della morte o quantomeno dell'inquietudine che può provocare la visione di una fotografia in cui il caso ha voluto che nel fotogramma entrasse qualcosa che non doveva entrare. La vita è consapevolezza della propria bellezza, una dedica per la persona amata, un quieto pomeriggio d'estate trascorso sul balcone di casa, una vacanza al mare in cui si è vinto un premio per il miglior castello di sabbia e innanzitutto un bambino appena nato o che sta crescendo.
Le fotografie sono comprese tra gli anni 1860 e 1940, alcune sono state eseguite presso studi fotografici altre sono anonime. Le pareti di questa sala immaginaria, sono muri di palazzi e cortili fotografati nella città di Aosta.


Il fotografo. Anonimo. Album di provenienza francese senza alcuna possibilità di identificazione. Anni 1920-1930. Stampa al bromuro d'argento.
Il fotografo di una fotografia, a meno che non si ritragga inquadrando se stesso e la fotocamera in uno specchio, non appare se non come ombra proiettata sul terreno dalla luce alle sue spalle. Il momento fotografato potrebbe essere un momento di vacanza in una casa in campagna, il gruppo di parenti o amici si raduna davanti alla porta della casa e qualcuno scatta una fotografia per ricordare una piacevole giornata in cui il lavoro e i problemi della vita quotidiana sono stati per un momento dimenticati.


Carte de visite con dedica. Ritratto di un giovane. Studio Fotografico A. Dupuy, Nimes. Albumina, 1865-1870.
Il giovane dedica il suo ritratto al fotografo che lo ha eseguito, il quale successivamente lo inserisce nell'album in cui raccoglie fotografie del suo studio. Forse il giovane è un attore perché nell'album ci sono altre cartes, sempre di Dupuy di Nimes, con persone in costume. Certamente questo signore ha una forte considerazione di se: si definisce l'Apollo di Belvedere. E' un bel giovane, ma forse esagera e per il momento non ha paura del tempo che lo farà invecchiare.


Fotografia anonima. Bromuro d'argento, anni 1930-1935.
Mare, vacanze e castelli di sabbia per un concorso sulla spiaggia. Le bambine di questa famiglia hanno vinto il primo premio e tutti sono felici in posa per l'amico o il parente che ha con se lo strumento per fissare questo momento. La bambina più piccola guarda verso i genitori e forse le sembra strano quest'attimo di vita in cui qualcuno dice "attenzione!". L'inquadratura involontariamente include anche parte di una bicicletta: è il simbolo della vita all'aria aperta in quegli anni in cui si avvicinava il dramma della guerra.


Carte de visite di una giovane donna. Studio Cheri Rousseau & Fils, Marsiglia. Anni 1880-1890. Stampa all'albumina.
Come in altre cartes de visite la figura emerge da uno sfondo oscuro, è possibile che sia la rielaborazione da un'altra fotografia e lo sguardo della giovane donna non è rivolto verso l'obbiettivo del fotografo, ma verso qualcosa di indefinibile. Gli occhi appaiono stanchi e gonfi. Cosa ci fa dire che questa persona è morta? Una piccola crocetta, posta in basso sul retro della carte de visite. A volte il fotografo conserva una copia delle immagini che ha stampato e se la persona è deceduta pone un segno destinato a testimoniarne la morte. Questa fotografia è ciò che resta di una vita.


 
Carte de visite con ritratto di un uomo sui trent'anni, senza indicazione dello studio fotografico.
Sul retro la seguente dedica: a mon cher ami Micholer Jph Dulce pignus amoris Civitatensis die 4 aprilis anno domini 1869 Costanza.
Colei che firma si rivolge alla persona fotografata come ad un amico, ma aggiunge che il ritratto dell'uomo è un dolce pegno d'amore. Siamo nel 1869 nel porto di La Ciotat( Civitatensis vuol dire fiero di essere cittadino di La Ciotat): è il luogo in cui i fratelli Lumiere filmeranno l'arrivo del treno. Nasce il cinema. Quanta vita racchiude questa fotografia con questa dedica in latino sul retro e in cui è ritratto il volto di un uomo dall'atteggiamento molto serio, forse un ufficiale della marina francese. La carte è in un album che contiene diverse fotografie di ufficiali di marina all'epoca dell'espansione coloniale e in quegli anni i viaggi per mare duravano mesi e anche anni. La grafia minuta e precisa della dedica, la firma elegante di Costanza indicano che doveva trattarsi di persone poste a un certo livello sociale e culturale. Scrivere in latino non era alla portata di tutti e una frase del genere sul retro di una carte de visite andava al di là di un normale gesto di amicizia. Quanto amore racchiude questa fotografia? Ci piacerebbe osservare il volto di Costanza, ma nell'album se c'è una sua fotografia è priva del nome o di una dedica.

L'ascensore. Anonimo. Stampa al bromuro d'argento, anni 1930-1940.
Questa immagine proviene dallo stesso album dal quale abbiamo tratto quella che apre questa stanza e dedicata all'ombra del fotografo. E' una fotografia che sarebbe piaciuta ai surrealisti: il gruppo di funzionari o uomini d'affari sta uscendo da una riunione, il fotografo coglie il momento preciso in cui sale l'ascensore e fissa il personaggio all'interno della cabina. E' solo un'ombra inquietante che appare dietro la griglia e per questi signori soddisfatti e seri, è come un avvertimento. E' la morte con occhiali e cappello? E' una prossima crisi finanziaria o economica? E' la cattiva coscienza per affari non del tutto leciti? E' la catastrofe della guerra che si avvicina? E' l'ebreo prossimo alla deportazione che augura un sinistro "buona fortuna", come nel bellissimo film di Losey "Mr klein"? Chi vuole può scegliere. Il contrasto tra i quattro signori e l'ombra che appare inquietante è il frutto del caso, della luce e del mistero fotografico.


Ritratto di ragazza sconosciuta, Studio Blanc, Parigi, anni 1890-1900.
Questa giovane donna è il ritratto della gioventù: di lei non sappiamo se visse a lungo, se morì giovane, se ebbe dei figli, se fu felice o triste. Lei guarda verso un punto immaginario e segue le indicazioni del fotografo, ma nello sguardo e nella tensione del volto c'è la volontà di andare avanti e vivere.



Carte de visite con due sorelline. Studio Fotografico A. Dupuy, Nimes. Albumina. Anni 1865-1870.
Con la fotografia la media borghesia riesce a conservare il ritratto dei propri figli mentre crescono. Le due bambine ritratte da quel Dupuy a cui il giovane che si autodefinisce l'Apollo di Belvedere ha fatto dono della sua fotografia, sono l'immagine della compostezza e di un'educazione che osserva principi morali che dovrebbero durare per sempre. Non sarà così. Citazione e omaggio alla fotografia è l'album posato sul piccolo tavolo che è servito come base d'appoggio per le due fanciulle di cui si mostrano le lunghe mutande orlate di pizzo.

Pomeriggio sul balcone in una giornata di sole dopo il pranzo. Stampa all'albumina. Anni 1880-1890. Anonimo.
L'immagine evoca la tranquillità di un pomeriggio estivo e anche questa è vita che scorre tra una fumata di pia e una tazzina di caffè; il cane è tranquillo ai piedi del padrone e anche di lui resterà l'immagine, forse il suo nome verrà ricordato. Chissà a cosa pensa la signora che gira il caffè nella tazzina?



Una nuova vita mostrata al fotografo. Anonimo. Anni 1900-1910.
Nell'album questa era una piccola immagine ritagliata ed inserita nel cotesto di altre fotografie che raccontavano le vacanze al mare. Questo bambino di pochi mesi viene fotografato e crescendo lo sarà molte altre volte; vivrà nel Novecento, il secolo dominato dalla fotografia e da tante altre cose belle e brutte, anzi molto brutte. La fotografia gli permetterà però di osservarsi quando era appena in fasce tra le braccia di sua madre, poi un po' più grande, poi adulto e infine da persona anziana, se ci arriverà. Una vita, insomma.  





lunedì 16 febbraio 2015

Museo della fotografia. Presentazione. La caverna di Platone




Madame Lerroux, elaborazione fotografica di Stefano Viaggio, febbraio 2015

Il conflitto tra apparenza e conoscenza è dentro la storia della fotografia. Ritenuta, nei primi cinquant'anni della sua storia, la più esatta riproduzione della realtà e per questo rigettata da intellettuali come Baudelaire in nome della contrapposizione tra la sensibilità per la  bellezza riservata a pochi e la volgarità della società di massa, la fotografia è considerata oggi come qualcosa di non facilmente decifrabile. Che cos'è il volto di un uomo o di una donna ritratto in una fotografia, se non l'ombra di un momento nel passaggio reale di questa persona lungo gli anni della sua vita, dalla nascita alla morte? Cosa è accaduto, accade o accadrà in un paesaggio fotografato in una bella giornata di sole? Quale archetipo evoca il particolare di un oggetto di uso comune? Che idea suggerisce un segno tracciato su un muro o lo strappo di più manifesti incollati su una bacheca nel corso del tempo?
Il processo fotografico appare misterioso e di difficile comprensione alla massa di coloro che abitualmente fotografano e anche l'introduzione delle fotocamere digitali non ha aiutato la conoscenza di ciò che significa quella "camera obscura" che affascinò coloro che cercarono di carpire un'immagine del reale con il solo aiuto della luce naturale. Questa  successioni di luoghi bui (l'interno della fotocamera e della stanza in cui si sviluppano e si stampano le copie positive) ha suggerito ad alcuni studiosi di proporre come prima riflessione sulla fotografia, il famoso mito della caverna di Platone di cui presentiamo il testo e che evoca il perenne conflitto tra l'apparenza dell'ombra e la faticosa conoscenza del reale.

da L'Illustrazione popolare, 18176

da Repubblica di Platone [dialogo tra Socrate e Glaucone]
1 [514 a]– In séguito, continuai, paragona la nostra natura, per ciò che riguarda educazione e mancanza di educazione, a un’immagine come questa. Dentro una dimora sotterranea a forma di caverna, con l’entrata aperta alla luce e ampia quanto tutta la larghezza della caverna, pensa di vedere degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, sì da dover restare fermi e da poter vedere soltanto in avanti, incapaci, a causa della catena, di volgere attorno il capo. Alta e lontana brilli alle loro spalle la luce d’un fuoco e tra il fuoco e i prigionieri corra rialzata una strada. Lungo questa pensa di vedere costruito un muricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare al di sopra di essi i burattini. – Vedo, rispose. – Immagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolo oggetti [c] di ogni sorta sporgenti dal margine, e statue e altre [515 a] figure di pietra e di legno, in qualunque modo lavorate; e, come è naturale, alcuni portatori parlano, altri tacciono. – Strana immagine è la tua, disse, e strani sono quei prigionieri. – Somigliano a noi, risposi; credi che tali persone possano vedere, anzitutto di sé e dei compagni, altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte? – E come possono, replicò, se sono costretti a tenere immobile il  capo per tutta la vita? – E per gli oggetti trasportati non è lo stesso? – Sicuramente. – Se quei prigionieri potessero conversare tra loro, non credi che penserebbero di chiamare oggetti reali le loro visioni? – Per forza. – E se la prigione avesse pure un’eco dalla parete di fronte? Ogni volta che uno dei passanti facesse sentire la sua voce, credi che la giudicherebbero diversa da quella dell’ombra che passa? – Io no, per Zeus!, [c] rispose. – Per tali persone insomma, feci io, la verità non può essere altro che le ombre degli oggetti artificiali. – Per forza, ammise. –

Da L'Illustrazione Popolare 1876

Le ombre dei burattini e l'artificio dei burattinai, i giochi con la luce che proietta sui muri ombre misteriose divennero veri e propri spettacoli che si organizzavano i locali pubblici e privati, prima (ma anche dopo) che Niepce e Daguerre  mostrassero al mondo che era possibile realizzare un'immagine con uno strumento meccanico. Il sogno era trasformare  quell'ombra così lungamente studiata da alchimisti, artisti e intellettuali in un oggetto, rappresentato materialmente dalla lastra fotografica che riproduceva un luogo, un monumento, il ritratto di una persona. Ma la conoscenza del reale è difficile: come nella storia della vita tentativi e prove fallite hanno accompagnato l'evoluzione della specie, così la strada della conoscenza si presenta ardua da percorrere. Platone immagina che un prigioniero della caverna venga liberato e improvvisamente portato alla luce e all'aria aperta.
Da un album svizzero anonimo (denominato verde, dal colore della copertina), una fotografia probabilmente acquistata durante una vacanza dei proprietari nei pressi del Lago di Lucerna. Anni 1900-1910, stampa al bromuro d'argento: non ci sono indicazioni sull'autore o sulla società distributrice. In sintonia con il mito del progresso, molto forte all'inizio del XX° secolo, la luce della lanterna sconfigge l'oscurità del mondo sotterraneo e, attraverso la fotografia, rivela luoghi nascosti e inesplorati.
Da Repubblica di Platone
– Esamina ora, ripresi, come potrebbero sciogliersi dalle catene e guarire dall’incoscienza. Ammetti che capitasse loro naturalmente un caso come questo: che uno fosse sciolto, costretto improvvisamente ad alzarsi, a girare attorno il capo, a camminare e levare lo sguardo alla luce; e che così facendo provasse dolore e il barbaglio lo rendesse incapace di [d] scorgere quegli oggetti di cui prima vedeva le ombre. Che cosa credi che risponderebbe, se gli si dicesse che prima vedeva vacuità prive di senso, ma che ora, essendo più vicino a ciò che è ed essendo rivolto verso oggetti aventi più essere, può vedere meglio? e se, mostrandogli anche ciascuno degli oggetti che passano, gli si domandasse e lo si costringesse a rispondere che cosa è? Non credi che rimarrebbe dubbioso e giudicherebbe più vere le cose che vedeva prima di quelle che gli fossero mostrate adesso? – Certo, rispose. 2 [e] – E se lo si costringesse a guardare la luce stessa, non sentirebbe male agli occhi e non fuggirebbe volgendosi verso gli oggetti di cui può sostenere la vista? e non li giudicherebbe realmente più chiari di quelli che gli fossero mostrati? – È così, rispose. – Se poi, continuai, lo si trascinasse via di lí a forza, su per l’ascesa scabra ed erta, e non lo si lasciasse prima di averlo tratto alla luce del sole, non ne soffrirebbe e non s’irriterebbe [516 a] di essere trascinato? E, giunto alla luce, essendo i suoi occhi abbagliati, non potrebbe vedere nemmeno una delle cose che ora sono dette vere. – Non potrebbe, certo, rispose, almeno all’improvviso. – Dovrebbe, credo, abituarvisi, se vuole vedere il mondo superiore. E prima osserverà, molto facilmente, le ombre e poi le immagini degli esseri umani e degli altri oggetti nei loro riflessi nell’acqua, e infine gli oggetti stessi; da questi poi, volgendo lo sguardo alla luce delle stelle e della luna, [b] potrà contemplare di notte i corpi celesti e il cielo stesso più facilmente che durante il giorno il sole e la luce del sole. – Come no? – Alla fine, credo, potrà osservare e contemplare quale è veramente il sole, non le sue immagini nelle acque o su altra superficie, ma il sole in se stesso, nella regione che gli è propria. – Per forza, disse. – Dopo di che, parlando del sole, potrebbe già concludere che è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile, e ad essere [c] causa, in certo modo, di tutto quello che egli e i suoi compagni vedevano. – È chiaro, rispose, che con simili esperienze concluderà così. – E ricordandosi della sua prima dimora e della sapienza che aveva colà e di quei suoi compagni di prigionia, non credi che si sentirebbe felice del mutamento e proverebbe pietà per loro? – Certo. – Quanto agli onori ed elogi che eventualmente si scambiavano allora, e ai primi riservati a chi fosse più acuto nell’osservare gli oggetti che passavano e più [d] rammentasse quanti ne solevano sfilare prima e poi e insieme, indovinandone perciò il successivo, credi che li ambirebbe e che invidierebbe quelli che tra i prigionieri avessero onori e potenza? o che si troverebbe nella condizione detta da Omero e preferirebbe “altrui per salario servir da contadino, uomo sia pur senza sostanza”, e patire di tutto piuttosto che avere quelle opinioni e vivere in quel modo? – Così penso anch’io, rispose; [e] accetterebbe di patire di tutto piuttosto che vivere in quel modo. – Rifletti ora anche su quest’altro punto, feci io. Se il nostro uomo ridiscendesse e si rimettesse a sedere sul medesimo sedile, non avrebbe gli occhi pieni di tenebra, venendo all’improvviso dal sole? – Sì, certo, rispose. – E se dovesse discernere nuovamente quelle ombre e contendere con coloro che sono rimasti sempre prigionieri, nel periodo in cui ha la vista offuscata, prima [517 a] che gli occhi tornino allo stato normale? e se questo periodo in cui rifà l’abitudine fosse piuttosto lungo? Non sarebbe egli allora oggetto di riso? e non si direbbe di lui che dalla sua ascesa torna con gli occhi rovinati e che non vale neppure la pena di tentare di andar su? E chi prendesse a sciogliere e a condurre su quei prigionieri, forse che non l’ucciderebbero, se potessero averlo tra le mani e ammazzarlo? – Certamente, rispose. [...]
da Repubblica di Platone, Opere, vol. II, Laterza, Bari, 1967, pagg. 339-342, il testo è tratto dal sito: http://www.liceomanara.it/sites/default/files/programmi1/antologia_Platone_miti.pdf
da L'Illustrazione popolare, 1876
La posa fotografica di lunga durata o della frazione di un secondo presuppone un cambiamento nello stato d'animo di chi fotografa e di chi è fotografato. E' come una sospensione che coinvolge non solo il corpo. Nel momento in cui si è fotografati qualcosa passa nella nostra testa, insieme a tanti pensieri può accadere che ne venga uno: dove finirà questa fotografia? E insieme a questo  è possibile un altro: come sarò in questa fotografia? E poi ancora: che uso faranno della mia immagine? Chi fotografa non può fare a meno di subire un'altra emozione: la conoscenza e l'esplorazione, anche di un volto amato o di un luogo assolutamente noto. Ogni fotogramma è diverso da quello precedente o seguente. Turbamento e conoscenza si unificano nell'atto fotografico ed è per questo che la fotografia è affascinante. Ci sono persone che non amano essere fotografate o fotografare, è come se il dover violare o attraversare per un attimo la caverna oscura di Platone le intimorisse. Nelle stanze immaginarie di questo museo immaginario, cercheremo di dare qualche risposta alle domande che abbiamo appena posto, forse anche in modo arbitrario.

La prima stanza in cui entreremo nel prossimo articolo è quella della "vita e della morte".

venerdì 13 febbraio 2015

La fotografia: l'ombra e la traccia. Un documentario dedicato alla storia della fotografia

Con questo documentario sulla fotografia, le sue origini e il suo significato nell'epoca moderna riprendiamo la pubblicazione di questo blog. I prossimi post saranno dedicati ad una sorta di museo della fotografia, articolato come un percorso in diverse stanze.

domenica 13 gennaio 2013

Il lavoro fotografato seconda parte Commercianti



Nella seconda parte di questa serie di post abbiamo scelto alcune fotografie che riguardano il lavoro di chi vende merci e servizi. Mostriamo luoghi lontani dall'Europa perché il commercio nasce con tutte le civiltà ed è anche il modo in cui si diffondono culture e religioni. Le immagini che presentiamo vennero eseguite o per mostrare luoghi in cui si svolgeva il lavoro, è il caso del negozio di Rouen o del grande caffè berlinese, oppure per documentare modi arcaici di lavorare. Queste ultime erano eseguite da viaggiatori europei che volevano portarsi a casa immagini esotiche di terre in cui il modo di vivere era rimasto ad un livello più antico di quello che si era affermato nelle nazioni industrializzate. In modo inconsapevole i fotografi, anonimi turisti, ci riportano a un mondo lontano in cui anche in Europa si vendeva l'acqua e si organizzavano carovane per raggiungere fiere e mercati medievali.
Il mercato di Sora, anonimo francese, 1909
Turisti francesi durante un loro viaggio in Italia si fermano nel paese di Sora, in Ciociaria (basso Lazio), ed eseguono una serie di fotografie visitando il mercato. L'attenzione si concentra sui costumi della gente, contadini che sono venuti al mercato per vendere i prodotti della terra. Fissano in questo modo i costumi delle persone: un modo di vestire che non era cambiato da secoli. Queste due fotografie oltre a costituire un documento dell'attività lavorativa di chi vende, sono anche lo strumento che ci consente di vedere costumi che oggi possiamo osservare visitando i musei delle tradizioni popolari di tante regioni d'Europa.
Allevatori alla fiera del bestiame di Saint Louis, 1904, Underwood &Underwood

Questa fotografia, tratta da una stereoscopia, getta lo sguardo su un momento del commercio del bestiame negli USA. Nel 1904 già molti europei pensano che la potenza economica degli  Stati Uniti d'America diventerà la più forte del mondo industrializzato e questo fatto sarà confermato nei decenni seguenti. Una fotografia di questo tipo, confezionata appositamente per i turisti, ha lo scopo di propagandare un momento importante del lavoro degli americani che sono già tra i più grandi produttori di carne. Allo stesso tempo l'immagine offre uno dei segni distintivi della società americana dopo la conquista dell'ovest e l'unificazione del mercato interno.
Famiglia di pescatori ritratta in studio fotografico con il costume tradizionale. Studio Heinz Zobler, Germania, 1900-1910
Qui siamo di fronte a una fotografia di genere che mostra il lavoro di una famiglia. Sullo sfondo c'è il mare, elemento in cui si svolge l'attività famigliare, in primo piano la rete, strumento per la cattura dei pesci. Luogo di lavoro e strumento di lavoro sono gli elementi che definiscono l'attività di queste tre persone che per l'occasione hanno indossato il costume tradizionale, distinguendosi in questo modo da altre attività lavorative.
Marocco, arrivo di una carovana proveniente dal deserto, anonimo francese, da un album del 1934
Questa immagine ci riporta all'inizio della storia, sullo sfondo di un paesaggio desertico si muovono i componenti di una carovana che giungono da terre lontane. Al centro della fotografia il cammello, quadrupede che come il cavallo ha consentito di attraversare luoghi in cui la vita è molto difficile. Questa carovana trasporta spezie, acqua, stoffe e manufatti artigianali per approvvigionare le città della costa. Insieme alle merci giungevano le persone e questo fatto consentiva di scambiare idee e informazioni. E' con carovane come questa che il sapere e i miti si sono diffusi sulla Terra.
Barcaioli sul Nilo, Abu Simbel, 1904, Underwood & Underwood
Tipica immagine ad uso e consumo del turismo internazionale interessato a visitare l'Egitto dei Faraoni, questa fotografia tratta da una stereoscopia, consente, come quella precedente, di osservare un'attività lavorativa che da sempre si era svolta lungo le rive del Nilo. La barca, i barcaioli e il grande monumento scavato nella montagna  sono l'immagine dell'Egitto che gli europei e gli americani in grado di permettersi una vacanza del genere, vogliono vedere.
Portatore d'acqua, anonimo francese, 1870-1880, stampa all'albumina
Al tempo della colonizzazione francese dell'Indocina un collezionista di immagini raccolse in un album una serie di fotografie su gli usi e costumi del popolo vietnamita. I personaggi con i loro strumenti di lavoro vennero fotografati in studio più o meno tutti nella stessa posizione. Era questo il modo per classificare le persone appartenenti a popoli lontani che gli europei imparavano a conoscere e che intendevano dominare. Il portatore d'acqua indocinese non era un personaggio tanto diverso da altri portatori europei che svolgevano il loro mestiere in tante contrade d'Europa ancora lontane dallo sviluppo industriale.
L'attività commerciale delle città è rappresentato dalle tre fotografie seguenti. Il negozio di generi diversi, in cui si vende tutto, dal pane ai chiodi, il ristorante in cui l'attività centrale è svolta da chi lavora in cucina, la birreria, luogo di incontro e in cui lavora la sterminata massa di camerieri che popola le città europee. Sono i segni di un mondo divenuto ormai moderno e in cui, con le dovute differenze, ancora oggi noi viviamo.
Negozio di Rouen, anonimo francese, 1900-1910
Le proprietarie o le inservienti del negozio sono fotografate sulla soglia del luogo in cui svolgono la loro attività. E' il tipico modo con cui si fotografavano i negozi all'inizio del XX° secolo.
Cuochi e personale di un ristorante francese, anni venti, anonimo
Donne e uomini fotografati in gruppo, molti di essi indossano il loro abito da lavoro. Forse la fotografia è stata eseguita in occasione di un importante anniversario.
Il personale della birreria Kroll's Garden di Berlino, 1905, H. C. White Co
In un momento di sosta i lavoratori di questo luogo di ritrovo berlinese posano per una fotografia all'aperto. Tratta da una stereoscopia, l'immagine mostra un angolo d'Europa tipico degli anni che precedono la Prima Guerra Mondiale. La calma e la compostezza di questa immagine e dei personaggi in essa rappresentati, nulla fa presagire delle catastrofi che si abbatteranno di lì a poco sulla società europea e, in particolare, su questa città.

sabato 12 gennaio 2013

Il lavoro fotografato


Dopo un lungo periodo di stasi torniamo nuovamente con la pubblicazione di fotografie che riguardano argomenti specifici. Iniziamo con un tema oggi molto attuale: il lavoro.
Nella storia della fotografia il tema del lavoro è stato centrale.
Fotografare un uomo e una donna che lavorano, significava assegnare alla persona un suo ruolo nella società e il lavoratore veniva fotografato spesso insieme al suo strumento di lavoro.
Lo strumento di lavoro inserito nell’immagine era il modo di conferire una qualità e un’identificazione del personaggio rappresentato.
Molto importante era il luogo in cui la persona lavorava, in questo senso le fotografie di persone al lavoro rivestono oggi un’importanza non solo di carattere antropologico, ma anche un valore di documento per la ricerca su antichi mestieri e luoghi che ci consentono di ricostruire la storia economica di una data società in un certo periodo dell’epoca moderna e contemporanea. La fotografia, sin dai suoi esordi, non poté fare a meno di documentare  la condizione del lavoratore, un fatto che oggi ci permette di ricostruire epoche in cui la durezza della fatica si accompagnava ad ambienti malsani e sprovvisti di qualunque sicurezza.
L’anonimato delle persone fotografate che compaiono nei tanti album o in archivi famigliari, si attutiva in virtù del fatto che qualcuno era fotografato insieme ad un oggetto usato per lavorare: non conosciamo il suo nome, ma possiamo intuire cosa faceva nella vita.
Il ritratto fotografico si distingueva così dalla riproduzione del volto e della figura tramandata nel tempo sulla “carte de visite”, da conservare per la memoria della famiglia o di un gruppo di persone.
Il ritratto singolo e di gruppo o il luogo in cui si svolgeva il lavoro, era un modo per documentare e ricordare la collocazione dell’individuo nella società del proprio tempo. In questo modo le fotografie del lavoro acquisiscono un valore di documento di grande rilevanza per ricostruire la storia delle società umane nell’epoca dello sviluppo tecnologico e dell’espansione industriale.
Ciò che non appare nelle fotografie che presentiamo è lo sfruttamento dell’uomo lavoratore; è stato scritto molte volte che la fotografia è un documento ambiguo in cui si fondono insieme verità e travestimento. Per comprendere un interno famigliare è necessario andare oltre i volti della famiglia fotografata: osservare gli abiti, la collocazione dei coniugi e il ruolo dei figli nella composizione dell’inquadratura.
Lo stesso approccio può essere utilizzato per il lavoro fotografato, accompagnando una fotografia di lavoratori ad altri tipi di documentazione: relazioni industriali, articoli giornalistici, la letteratura, in particolare quella a sfondo sociale. Il lavoro fotografato non presenta sempre le persone nella compostezza assunta all’interno dello studio fotografico e dettata dalle esigenze dell’illuminazione e dell’inquadratura decise dal fotografo. La fotografia del lavoro fotografato si sforza anche di presentare un’immagine meno totalizzante dell’essere umano: il lavoro infatti è un momento della vita che può essere ricordato con uno scatto dell’otturatore. E’ con la fotografia del lavoro e dell’uomo lavoratore che si afferma lentamente un nuovo modo di raccontare la vita.
Il lavoro femminile
Cameriere, Studio Gershel, Nancy, 1895-1900

Ricamatrici e venditrici di cuscini, anonimo italiano, Valle d’Aosta, 1920-1930

Ricamatrice, anonimo francese, 1910-1920

Sarte, anonimo francese, 1900-1910

Cappellaie, anonimo francese, 1900-1910



Gli esempi che presentiamo si riferiscono a lavori tipicamente femminili nell’epoca compresa tra la fine del XIX° e l’inizio del XX° secolo. La donna è ancora prevalentemente relegata in casa o in atelier in cui svolge il lavoro di modista, è difficile trovare fotografie di operaie o impiegate; la donna fotografata è la governante o la bambinaia. Le fotografie di queste donne s’inseriscono negli album famigliari perché sono considerate parte della famiglia. La Prima Guerra Mondiale porterà le donne fuori dalle mura domestiche e cominceranno ad apparire sulle riviste illustrate donne ritratte in una dimensione più vasta che è quella della fabbrica o dell’ospedale militare.






martedì 1 novembre 2011

Stereoscopie

Andare lontano.
I ricercatori e gli studiosi che si sono occupati di storia della tecnica fotografica, indicano nel tipo di stereoscopia che proponiamo per un’analisi più dettagliata, un’origine risalente agli anni cinquanta e sessanta del XIX° secolo.
La stereoscopia è costruita attraverso due esposizioni fotografiche dello stesso luogo, eseguite a brevissima distanza l’una dall’altra e cercando di mantenere l’identica inquadratura. Siamo in Germania e si tratta del viadotto ferroviario di Lemming.
Le due fotografie più o meno identiche, si montavano una accanto all’altra su un cartoncino e venivano inserite in un visore stereoscopico che munito di specchi, dava all’osservatore una visione bioculare e restituiva l’effetto di profondità.
1852, apparecchio stereoscopico, dalla rivista Musée des familles
La stampa è all’albumina e la stereoscopia del viadotto di Lemming, venne prodotta a Parigi dallo studio di H. Guérard, sito nei pressi della Colonnade du Louvre, in Rue de Rivoli 15. H. Guérard fabbricava anche visori stereoscopici.
Viadotto ferroviario di Lemming, Germania, Studio Guérard, Parigi, 1855-1860
Apparentemente si tratta di un paesaggio montuoso, deserto e profondamente modificato dall’opera dell’uomo. E’ assente il protagonista di una rivoluzione che a quel tempo stava cambiando il mondo: il treno. Ma se  poniamo questo cartoncino contro una fonte di luce sufficientemente intensa assistiamo ad una trasformazione.
Viadotto ferroviario di Lemming, Germania, Studio Guerard, Parigi, 1855-1860, visione stereoscopica
Il paesaggio, come possiamo vedere, diventa notturno ed è illuminato dalla Luna: il treno corre verso di noi per trasportare persone e cose da una all’altra parte d’Europa.
Particolare, lato destro

Un foglio di carta velina opportunamente colorato è stato posto dietro l’altro foglio di carta all’albumina, molto sottile e sulla quale è stata stampata l’immagine. Assistiamo in questo modo ad un’operazione luministica e di sapore  metafisico: la riproduzione di un luogo deserto e che ci rimanda la sensazione di attesa per qualcosa che accadrà, se inserita in un visore stereoscopico e osservata in casa propria, può mutarsi in un paesaggio assolutamente fantastico con un treno che corre nella notte fra alte montagne. Le supera e modifica i concetti di tempo, spazio e luogo.
Allo spettatore viene fornita una visione delle montagne rese magiche dalla Luna e attraversate da una macchina che è anch’essa portatrice di luce e quindi di progresso.
Non è solo il tentativo di dare colore ad un paesaggio che la tecnologia fotografica dell’epoca restituiva piatto ed uniforme, ma anche quello di costruire una storia che ci porterò lontano.
La stereoscopia fu uno dei tanti tentativi ideati dall’uomo di viaggiare con la fantasia e questa volta utilizzando la riproduzione meccanica del mondo circostante. La messa in opera dell’artificio che abbiano appena descritto contraddice però la visione che i positivisti ebbero della fotografia: la riproduzione del reale nella maniera più esatta. Non è un caso che la fotografia del viadotto ferroviario sia stata eseguita restituendo, a prima vista, la sensazione di vuoto assoluto.
Il vuoto doveva essere riempito a posteriori da un’altra immagine, fabbricata con l’acquerello. Questa combinazione tra riproduzione meccanica e artificio, andava incontro all’aspirazione degli acquirenti di stereoscopie; non solo i turisti dell’epoca volevano portare a casa il ricordo dei luoghi che avevano visitato, ma aspiravano anche ad immaginarli, nel ricordo, sotto una veste assolutamente diversa dall’esperienza direttamente vissuta. Questo tipo di stereoscopia combinava forme moderne di visione (la fotografia) con quelle più antiche, fatte di lanterne magiche ed ombre proiettate su tende e pareti di stanze opportunamente illuminate. C’è nella fotografia stereoscopica del viadotto ferroviario di Lemming, la sopravvivenza di una forma assai popolare di spettacolo nel XIX° secolo: il diorama. La costruzione cioè di paesaggi assolutamente immaginari in cui la luce, opportunamente diretta,  crea visioni di montagne, laghi, città e  mari in tempesta (famoso resta il diorama del Monte Bianco di Daguerre) che debbono suscitare forti emozioni. Con la stereoscopia si anticipava non solo la cartolina illustrata e il moderno documentario, ma il cinema che avrebbe inventato scenografie in cui verità e finzione si fondevano per raccontare storie e far sognare milioni di spettatori.