lunedì 16 febbraio 2015

Museo della fotografia. Presentazione. La caverna di Platone




Madame Lerroux, elaborazione fotografica di Stefano Viaggio, febbraio 2015

Il conflitto tra apparenza e conoscenza è dentro la storia della fotografia. Ritenuta, nei primi cinquant'anni della sua storia, la più esatta riproduzione della realtà e per questo rigettata da intellettuali come Baudelaire in nome della contrapposizione tra la sensibilità per la  bellezza riservata a pochi e la volgarità della società di massa, la fotografia è considerata oggi come qualcosa di non facilmente decifrabile. Che cos'è il volto di un uomo o di una donna ritratto in una fotografia, se non l'ombra di un momento nel passaggio reale di questa persona lungo gli anni della sua vita, dalla nascita alla morte? Cosa è accaduto, accade o accadrà in un paesaggio fotografato in una bella giornata di sole? Quale archetipo evoca il particolare di un oggetto di uso comune? Che idea suggerisce un segno tracciato su un muro o lo strappo di più manifesti incollati su una bacheca nel corso del tempo?
Il processo fotografico appare misterioso e di difficile comprensione alla massa di coloro che abitualmente fotografano e anche l'introduzione delle fotocamere digitali non ha aiutato la conoscenza di ciò che significa quella "camera obscura" che affascinò coloro che cercarono di carpire un'immagine del reale con il solo aiuto della luce naturale. Questa  successioni di luoghi bui (l'interno della fotocamera e della stanza in cui si sviluppano e si stampano le copie positive) ha suggerito ad alcuni studiosi di proporre come prima riflessione sulla fotografia, il famoso mito della caverna di Platone di cui presentiamo il testo e che evoca il perenne conflitto tra l'apparenza dell'ombra e la faticosa conoscenza del reale.

da L'Illustrazione popolare, 18176

da Repubblica di Platone [dialogo tra Socrate e Glaucone]
1 [514 a]– In séguito, continuai, paragona la nostra natura, per ciò che riguarda educazione e mancanza di educazione, a un’immagine come questa. Dentro una dimora sotterranea a forma di caverna, con l’entrata aperta alla luce e ampia quanto tutta la larghezza della caverna, pensa di vedere degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, sì da dover restare fermi e da poter vedere soltanto in avanti, incapaci, a causa della catena, di volgere attorno il capo. Alta e lontana brilli alle loro spalle la luce d’un fuoco e tra il fuoco e i prigionieri corra rialzata una strada. Lungo questa pensa di vedere costruito un muricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare al di sopra di essi i burattini. – Vedo, rispose. – Immagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolo oggetti [c] di ogni sorta sporgenti dal margine, e statue e altre [515 a] figure di pietra e di legno, in qualunque modo lavorate; e, come è naturale, alcuni portatori parlano, altri tacciono. – Strana immagine è la tua, disse, e strani sono quei prigionieri. – Somigliano a noi, risposi; credi che tali persone possano vedere, anzitutto di sé e dei compagni, altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte? – E come possono, replicò, se sono costretti a tenere immobile il  capo per tutta la vita? – E per gli oggetti trasportati non è lo stesso? – Sicuramente. – Se quei prigionieri potessero conversare tra loro, non credi che penserebbero di chiamare oggetti reali le loro visioni? – Per forza. – E se la prigione avesse pure un’eco dalla parete di fronte? Ogni volta che uno dei passanti facesse sentire la sua voce, credi che la giudicherebbero diversa da quella dell’ombra che passa? – Io no, per Zeus!, [c] rispose. – Per tali persone insomma, feci io, la verità non può essere altro che le ombre degli oggetti artificiali. – Per forza, ammise. –

Da L'Illustrazione Popolare 1876

Le ombre dei burattini e l'artificio dei burattinai, i giochi con la luce che proietta sui muri ombre misteriose divennero veri e propri spettacoli che si organizzavano i locali pubblici e privati, prima (ma anche dopo) che Niepce e Daguerre  mostrassero al mondo che era possibile realizzare un'immagine con uno strumento meccanico. Il sogno era trasformare  quell'ombra così lungamente studiata da alchimisti, artisti e intellettuali in un oggetto, rappresentato materialmente dalla lastra fotografica che riproduceva un luogo, un monumento, il ritratto di una persona. Ma la conoscenza del reale è difficile: come nella storia della vita tentativi e prove fallite hanno accompagnato l'evoluzione della specie, così la strada della conoscenza si presenta ardua da percorrere. Platone immagina che un prigioniero della caverna venga liberato e improvvisamente portato alla luce e all'aria aperta.
Da un album svizzero anonimo (denominato verde, dal colore della copertina), una fotografia probabilmente acquistata durante una vacanza dei proprietari nei pressi del Lago di Lucerna. Anni 1900-1910, stampa al bromuro d'argento: non ci sono indicazioni sull'autore o sulla società distributrice. In sintonia con il mito del progresso, molto forte all'inizio del XX° secolo, la luce della lanterna sconfigge l'oscurità del mondo sotterraneo e, attraverso la fotografia, rivela luoghi nascosti e inesplorati.
Da Repubblica di Platone
– Esamina ora, ripresi, come potrebbero sciogliersi dalle catene e guarire dall’incoscienza. Ammetti che capitasse loro naturalmente un caso come questo: che uno fosse sciolto, costretto improvvisamente ad alzarsi, a girare attorno il capo, a camminare e levare lo sguardo alla luce; e che così facendo provasse dolore e il barbaglio lo rendesse incapace di [d] scorgere quegli oggetti di cui prima vedeva le ombre. Che cosa credi che risponderebbe, se gli si dicesse che prima vedeva vacuità prive di senso, ma che ora, essendo più vicino a ciò che è ed essendo rivolto verso oggetti aventi più essere, può vedere meglio? e se, mostrandogli anche ciascuno degli oggetti che passano, gli si domandasse e lo si costringesse a rispondere che cosa è? Non credi che rimarrebbe dubbioso e giudicherebbe più vere le cose che vedeva prima di quelle che gli fossero mostrate adesso? – Certo, rispose. 2 [e] – E se lo si costringesse a guardare la luce stessa, non sentirebbe male agli occhi e non fuggirebbe volgendosi verso gli oggetti di cui può sostenere la vista? e non li giudicherebbe realmente più chiari di quelli che gli fossero mostrati? – È così, rispose. – Se poi, continuai, lo si trascinasse via di lí a forza, su per l’ascesa scabra ed erta, e non lo si lasciasse prima di averlo tratto alla luce del sole, non ne soffrirebbe e non s’irriterebbe [516 a] di essere trascinato? E, giunto alla luce, essendo i suoi occhi abbagliati, non potrebbe vedere nemmeno una delle cose che ora sono dette vere. – Non potrebbe, certo, rispose, almeno all’improvviso. – Dovrebbe, credo, abituarvisi, se vuole vedere il mondo superiore. E prima osserverà, molto facilmente, le ombre e poi le immagini degli esseri umani e degli altri oggetti nei loro riflessi nell’acqua, e infine gli oggetti stessi; da questi poi, volgendo lo sguardo alla luce delle stelle e della luna, [b] potrà contemplare di notte i corpi celesti e il cielo stesso più facilmente che durante il giorno il sole e la luce del sole. – Come no? – Alla fine, credo, potrà osservare e contemplare quale è veramente il sole, non le sue immagini nelle acque o su altra superficie, ma il sole in se stesso, nella regione che gli è propria. – Per forza, disse. – Dopo di che, parlando del sole, potrebbe già concludere che è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile, e ad essere [c] causa, in certo modo, di tutto quello che egli e i suoi compagni vedevano. – È chiaro, rispose, che con simili esperienze concluderà così. – E ricordandosi della sua prima dimora e della sapienza che aveva colà e di quei suoi compagni di prigionia, non credi che si sentirebbe felice del mutamento e proverebbe pietà per loro? – Certo. – Quanto agli onori ed elogi che eventualmente si scambiavano allora, e ai primi riservati a chi fosse più acuto nell’osservare gli oggetti che passavano e più [d] rammentasse quanti ne solevano sfilare prima e poi e insieme, indovinandone perciò il successivo, credi che li ambirebbe e che invidierebbe quelli che tra i prigionieri avessero onori e potenza? o che si troverebbe nella condizione detta da Omero e preferirebbe “altrui per salario servir da contadino, uomo sia pur senza sostanza”, e patire di tutto piuttosto che avere quelle opinioni e vivere in quel modo? – Così penso anch’io, rispose; [e] accetterebbe di patire di tutto piuttosto che vivere in quel modo. – Rifletti ora anche su quest’altro punto, feci io. Se il nostro uomo ridiscendesse e si rimettesse a sedere sul medesimo sedile, non avrebbe gli occhi pieni di tenebra, venendo all’improvviso dal sole? – Sì, certo, rispose. – E se dovesse discernere nuovamente quelle ombre e contendere con coloro che sono rimasti sempre prigionieri, nel periodo in cui ha la vista offuscata, prima [517 a] che gli occhi tornino allo stato normale? e se questo periodo in cui rifà l’abitudine fosse piuttosto lungo? Non sarebbe egli allora oggetto di riso? e non si direbbe di lui che dalla sua ascesa torna con gli occhi rovinati e che non vale neppure la pena di tentare di andar su? E chi prendesse a sciogliere e a condurre su quei prigionieri, forse che non l’ucciderebbero, se potessero averlo tra le mani e ammazzarlo? – Certamente, rispose. [...]
da Repubblica di Platone, Opere, vol. II, Laterza, Bari, 1967, pagg. 339-342, il testo è tratto dal sito: http://www.liceomanara.it/sites/default/files/programmi1/antologia_Platone_miti.pdf
da L'Illustrazione popolare, 1876
La posa fotografica di lunga durata o della frazione di un secondo presuppone un cambiamento nello stato d'animo di chi fotografa e di chi è fotografato. E' come una sospensione che coinvolge non solo il corpo. Nel momento in cui si è fotografati qualcosa passa nella nostra testa, insieme a tanti pensieri può accadere che ne venga uno: dove finirà questa fotografia? E insieme a questo  è possibile un altro: come sarò in questa fotografia? E poi ancora: che uso faranno della mia immagine? Chi fotografa non può fare a meno di subire un'altra emozione: la conoscenza e l'esplorazione, anche di un volto amato o di un luogo assolutamente noto. Ogni fotogramma è diverso da quello precedente o seguente. Turbamento e conoscenza si unificano nell'atto fotografico ed è per questo che la fotografia è affascinante. Ci sono persone che non amano essere fotografate o fotografare, è come se il dover violare o attraversare per un attimo la caverna oscura di Platone le intimorisse. Nelle stanze immaginarie di questo museo immaginario, cercheremo di dare qualche risposta alle domande che abbiamo appena posto, forse anche in modo arbitrario.

La prima stanza in cui entreremo nel prossimo articolo è quella della "vita e della morte".

venerdì 13 febbraio 2015

La fotografia: l'ombra e la traccia. Un documentario dedicato alla storia della fotografia

Con questo documentario sulla fotografia, le sue origini e il suo significato nell'epoca moderna riprendiamo la pubblicazione di questo blog. I prossimi post saranno dedicati ad una sorta di museo della fotografia, articolato come un percorso in diverse stanze.

domenica 13 gennaio 2013

Il lavoro fotografato seconda parte Commercianti



Nella seconda parte di questa serie di post abbiamo scelto alcune fotografie che riguardano il lavoro di chi vende merci e servizi. Mostriamo luoghi lontani dall'Europa perché il commercio nasce con tutte le civiltà ed è anche il modo in cui si diffondono culture e religioni. Le immagini che presentiamo vennero eseguite o per mostrare luoghi in cui si svolgeva il lavoro, è il caso del negozio di Rouen o del grande caffè berlinese, oppure per documentare modi arcaici di lavorare. Queste ultime erano eseguite da viaggiatori europei che volevano portarsi a casa immagini esotiche di terre in cui il modo di vivere era rimasto ad un livello più antico di quello che si era affermato nelle nazioni industrializzate. In modo inconsapevole i fotografi, anonimi turisti, ci riportano a un mondo lontano in cui anche in Europa si vendeva l'acqua e si organizzavano carovane per raggiungere fiere e mercati medievali.
Il mercato di Sora, anonimo francese, 1909
Turisti francesi durante un loro viaggio in Italia si fermano nel paese di Sora, in Ciociaria (basso Lazio), ed eseguono una serie di fotografie visitando il mercato. L'attenzione si concentra sui costumi della gente, contadini che sono venuti al mercato per vendere i prodotti della terra. Fissano in questo modo i costumi delle persone: un modo di vestire che non era cambiato da secoli. Queste due fotografie oltre a costituire un documento dell'attività lavorativa di chi vende, sono anche lo strumento che ci consente di vedere costumi che oggi possiamo osservare visitando i musei delle tradizioni popolari di tante regioni d'Europa.
Allevatori alla fiera del bestiame di Saint Louis, 1904, Underwood &Underwood

Questa fotografia, tratta da una stereoscopia, getta lo sguardo su un momento del commercio del bestiame negli USA. Nel 1904 già molti europei pensano che la potenza economica degli  Stati Uniti d'America diventerà la più forte del mondo industrializzato e questo fatto sarà confermato nei decenni seguenti. Una fotografia di questo tipo, confezionata appositamente per i turisti, ha lo scopo di propagandare un momento importante del lavoro degli americani che sono già tra i più grandi produttori di carne. Allo stesso tempo l'immagine offre uno dei segni distintivi della società americana dopo la conquista dell'ovest e l'unificazione del mercato interno.
Famiglia di pescatori ritratta in studio fotografico con il costume tradizionale. Studio Heinz Zobler, Germania, 1900-1910
Qui siamo di fronte a una fotografia di genere che mostra il lavoro di una famiglia. Sullo sfondo c'è il mare, elemento in cui si svolge l'attività famigliare, in primo piano la rete, strumento per la cattura dei pesci. Luogo di lavoro e strumento di lavoro sono gli elementi che definiscono l'attività di queste tre persone che per l'occasione hanno indossato il costume tradizionale, distinguendosi in questo modo da altre attività lavorative.
Marocco, arrivo di una carovana proveniente dal deserto, anonimo francese, da un album del 1934
Questa immagine ci riporta all'inizio della storia, sullo sfondo di un paesaggio desertico si muovono i componenti di una carovana che giungono da terre lontane. Al centro della fotografia il cammello, quadrupede che come il cavallo ha consentito di attraversare luoghi in cui la vita è molto difficile. Questa carovana trasporta spezie, acqua, stoffe e manufatti artigianali per approvvigionare le città della costa. Insieme alle merci giungevano le persone e questo fatto consentiva di scambiare idee e informazioni. E' con carovane come questa che il sapere e i miti si sono diffusi sulla Terra.
Barcaioli sul Nilo, Abu Simbel, 1904, Underwood & Underwood
Tipica immagine ad uso e consumo del turismo internazionale interessato a visitare l'Egitto dei Faraoni, questa fotografia tratta da una stereoscopia, consente, come quella precedente, di osservare un'attività lavorativa che da sempre si era svolta lungo le rive del Nilo. La barca, i barcaioli e il grande monumento scavato nella montagna  sono l'immagine dell'Egitto che gli europei e gli americani in grado di permettersi una vacanza del genere, vogliono vedere.
Portatore d'acqua, anonimo francese, 1870-1880, stampa all'albumina
Al tempo della colonizzazione francese dell'Indocina un collezionista di immagini raccolse in un album una serie di fotografie su gli usi e costumi del popolo vietnamita. I personaggi con i loro strumenti di lavoro vennero fotografati in studio più o meno tutti nella stessa posizione. Era questo il modo per classificare le persone appartenenti a popoli lontani che gli europei imparavano a conoscere e che intendevano dominare. Il portatore d'acqua indocinese non era un personaggio tanto diverso da altri portatori europei che svolgevano il loro mestiere in tante contrade d'Europa ancora lontane dallo sviluppo industriale.
L'attività commerciale delle città è rappresentato dalle tre fotografie seguenti. Il negozio di generi diversi, in cui si vende tutto, dal pane ai chiodi, il ristorante in cui l'attività centrale è svolta da chi lavora in cucina, la birreria, luogo di incontro e in cui lavora la sterminata massa di camerieri che popola le città europee. Sono i segni di un mondo divenuto ormai moderno e in cui, con le dovute differenze, ancora oggi noi viviamo.
Negozio di Rouen, anonimo francese, 1900-1910
Le proprietarie o le inservienti del negozio sono fotografate sulla soglia del luogo in cui svolgono la loro attività. E' il tipico modo con cui si fotografavano i negozi all'inizio del XX° secolo.
Cuochi e personale di un ristorante francese, anni venti, anonimo
Donne e uomini fotografati in gruppo, molti di essi indossano il loro abito da lavoro. Forse la fotografia è stata eseguita in occasione di un importante anniversario.
Il personale della birreria Kroll's Garden di Berlino, 1905, H. C. White Co
In un momento di sosta i lavoratori di questo luogo di ritrovo berlinese posano per una fotografia all'aperto. Tratta da una stereoscopia, l'immagine mostra un angolo d'Europa tipico degli anni che precedono la Prima Guerra Mondiale. La calma e la compostezza di questa immagine e dei personaggi in essa rappresentati, nulla fa presagire delle catastrofi che si abbatteranno di lì a poco sulla società europea e, in particolare, su questa città.

sabato 12 gennaio 2013

Il lavoro fotografato


Dopo un lungo periodo di stasi torniamo nuovamente con la pubblicazione di fotografie che riguardano argomenti specifici. Iniziamo con un tema oggi molto attuale: il lavoro.
Nella storia della fotografia il tema del lavoro è stato centrale.
Fotografare un uomo e una donna che lavorano, significava assegnare alla persona un suo ruolo nella società e il lavoratore veniva fotografato spesso insieme al suo strumento di lavoro.
Lo strumento di lavoro inserito nell’immagine era il modo di conferire una qualità e un’identificazione del personaggio rappresentato.
Molto importante era il luogo in cui la persona lavorava, in questo senso le fotografie di persone al lavoro rivestono oggi un’importanza non solo di carattere antropologico, ma anche un valore di documento per la ricerca su antichi mestieri e luoghi che ci consentono di ricostruire la storia economica di una data società in un certo periodo dell’epoca moderna e contemporanea. La fotografia, sin dai suoi esordi, non poté fare a meno di documentare  la condizione del lavoratore, un fatto che oggi ci permette di ricostruire epoche in cui la durezza della fatica si accompagnava ad ambienti malsani e sprovvisti di qualunque sicurezza.
L’anonimato delle persone fotografate che compaiono nei tanti album o in archivi famigliari, si attutiva in virtù del fatto che qualcuno era fotografato insieme ad un oggetto usato per lavorare: non conosciamo il suo nome, ma possiamo intuire cosa faceva nella vita.
Il ritratto fotografico si distingueva così dalla riproduzione del volto e della figura tramandata nel tempo sulla “carte de visite”, da conservare per la memoria della famiglia o di un gruppo di persone.
Il ritratto singolo e di gruppo o il luogo in cui si svolgeva il lavoro, era un modo per documentare e ricordare la collocazione dell’individuo nella società del proprio tempo. In questo modo le fotografie del lavoro acquisiscono un valore di documento di grande rilevanza per ricostruire la storia delle società umane nell’epoca dello sviluppo tecnologico e dell’espansione industriale.
Ciò che non appare nelle fotografie che presentiamo è lo sfruttamento dell’uomo lavoratore; è stato scritto molte volte che la fotografia è un documento ambiguo in cui si fondono insieme verità e travestimento. Per comprendere un interno famigliare è necessario andare oltre i volti della famiglia fotografata: osservare gli abiti, la collocazione dei coniugi e il ruolo dei figli nella composizione dell’inquadratura.
Lo stesso approccio può essere utilizzato per il lavoro fotografato, accompagnando una fotografia di lavoratori ad altri tipi di documentazione: relazioni industriali, articoli giornalistici, la letteratura, in particolare quella a sfondo sociale. Il lavoro fotografato non presenta sempre le persone nella compostezza assunta all’interno dello studio fotografico e dettata dalle esigenze dell’illuminazione e dell’inquadratura decise dal fotografo. La fotografia del lavoro fotografato si sforza anche di presentare un’immagine meno totalizzante dell’essere umano: il lavoro infatti è un momento della vita che può essere ricordato con uno scatto dell’otturatore. E’ con la fotografia del lavoro e dell’uomo lavoratore che si afferma lentamente un nuovo modo di raccontare la vita.
Il lavoro femminile
Cameriere, Studio Gershel, Nancy, 1895-1900

Ricamatrici e venditrici di cuscini, anonimo italiano, Valle d’Aosta, 1920-1930

Ricamatrice, anonimo francese, 1910-1920

Sarte, anonimo francese, 1900-1910

Cappellaie, anonimo francese, 1900-1910



Gli esempi che presentiamo si riferiscono a lavori tipicamente femminili nell’epoca compresa tra la fine del XIX° e l’inizio del XX° secolo. La donna è ancora prevalentemente relegata in casa o in atelier in cui svolge il lavoro di modista, è difficile trovare fotografie di operaie o impiegate; la donna fotografata è la governante o la bambinaia. Le fotografie di queste donne s’inseriscono negli album famigliari perché sono considerate parte della famiglia. La Prima Guerra Mondiale porterà le donne fuori dalle mura domestiche e cominceranno ad apparire sulle riviste illustrate donne ritratte in una dimensione più vasta che è quella della fabbrica o dell’ospedale militare.






martedì 1 novembre 2011

Stereoscopie

Andare lontano.
I ricercatori e gli studiosi che si sono occupati di storia della tecnica fotografica, indicano nel tipo di stereoscopia che proponiamo per un’analisi più dettagliata, un’origine risalente agli anni cinquanta e sessanta del XIX° secolo.
La stereoscopia è costruita attraverso due esposizioni fotografiche dello stesso luogo, eseguite a brevissima distanza l’una dall’altra e cercando di mantenere l’identica inquadratura. Siamo in Germania e si tratta del viadotto ferroviario di Lemming.
Le due fotografie più o meno identiche, si montavano una accanto all’altra su un cartoncino e venivano inserite in un visore stereoscopico che munito di specchi, dava all’osservatore una visione bioculare e restituiva l’effetto di profondità.
1852, apparecchio stereoscopico, dalla rivista Musée des familles
La stampa è all’albumina e la stereoscopia del viadotto di Lemming, venne prodotta a Parigi dallo studio di H. Guérard, sito nei pressi della Colonnade du Louvre, in Rue de Rivoli 15. H. Guérard fabbricava anche visori stereoscopici.
Viadotto ferroviario di Lemming, Germania, Studio Guérard, Parigi, 1855-1860
Apparentemente si tratta di un paesaggio montuoso, deserto e profondamente modificato dall’opera dell’uomo. E’ assente il protagonista di una rivoluzione che a quel tempo stava cambiando il mondo: il treno. Ma se  poniamo questo cartoncino contro una fonte di luce sufficientemente intensa assistiamo ad una trasformazione.
Viadotto ferroviario di Lemming, Germania, Studio Guerard, Parigi, 1855-1860, visione stereoscopica
Il paesaggio, come possiamo vedere, diventa notturno ed è illuminato dalla Luna: il treno corre verso di noi per trasportare persone e cose da una all’altra parte d’Europa.
Particolare, lato destro

Un foglio di carta velina opportunamente colorato è stato posto dietro l’altro foglio di carta all’albumina, molto sottile e sulla quale è stata stampata l’immagine. Assistiamo in questo modo ad un’operazione luministica e di sapore  metafisico: la riproduzione di un luogo deserto e che ci rimanda la sensazione di attesa per qualcosa che accadrà, se inserita in un visore stereoscopico e osservata in casa propria, può mutarsi in un paesaggio assolutamente fantastico con un treno che corre nella notte fra alte montagne. Le supera e modifica i concetti di tempo, spazio e luogo.
Allo spettatore viene fornita una visione delle montagne rese magiche dalla Luna e attraversate da una macchina che è anch’essa portatrice di luce e quindi di progresso.
Non è solo il tentativo di dare colore ad un paesaggio che la tecnologia fotografica dell’epoca restituiva piatto ed uniforme, ma anche quello di costruire una storia che ci porterò lontano.
La stereoscopia fu uno dei tanti tentativi ideati dall’uomo di viaggiare con la fantasia e questa volta utilizzando la riproduzione meccanica del mondo circostante. La messa in opera dell’artificio che abbiano appena descritto contraddice però la visione che i positivisti ebbero della fotografia: la riproduzione del reale nella maniera più esatta. Non è un caso che la fotografia del viadotto ferroviario sia stata eseguita restituendo, a prima vista, la sensazione di vuoto assoluto.
Il vuoto doveva essere riempito a posteriori da un’altra immagine, fabbricata con l’acquerello. Questa combinazione tra riproduzione meccanica e artificio, andava incontro all’aspirazione degli acquirenti di stereoscopie; non solo i turisti dell’epoca volevano portare a casa il ricordo dei luoghi che avevano visitato, ma aspiravano anche ad immaginarli, nel ricordo, sotto una veste assolutamente diversa dall’esperienza direttamente vissuta. Questo tipo di stereoscopia combinava forme moderne di visione (la fotografia) con quelle più antiche, fatte di lanterne magiche ed ombre proiettate su tende e pareti di stanze opportunamente illuminate. C’è nella fotografia stereoscopica del viadotto ferroviario di Lemming, la sopravvivenza di una forma assai popolare di spettacolo nel XIX° secolo: il diorama. La costruzione cioè di paesaggi assolutamente immaginari in cui la luce, opportunamente diretta,  crea visioni di montagne, laghi, città e  mari in tempesta (famoso resta il diorama del Monte Bianco di Daguerre) che debbono suscitare forti emozioni. Con la stereoscopia si anticipava non solo la cartolina illustrata e il moderno documentario, ma il cinema che avrebbe inventato scenografie in cui verità e finzione si fondevano per raccontare storie e far sognare milioni di spettatori.  

domenica 17 luglio 2011

La fotografia e le vacanze

Miliardi di fotografie sono state e vengono eseguite nel corso delle vacanze.
Andare in vacanza e non fotografare sembra ai più una stranezza: se la vacanza è evasione dalla vita normale, è anche occasione per stare insieme a parenti o amici. E per ricordare questi momenti, il modo migliore è fotografarli.
Album Rosso, ottobre 1904, nei pressi di Tolone

Si cominciò a fotografare le vacanze quando fu possibile andare in vacanza. L’idea di fermarsi un giorno, due, una settimana, di inserire una pausa tra se e il lavoro, si fece strada con l’ampliarsi della classe media e l’aumento di reddito delle famiglie. Avere più soldi a disposizione comportava la possibilità di acquistare beni di utilità non immediata, la macchina fotografica era uno di questi.
E’ un luogo comune ritenere che le fotografie eseguite nel corso delle vacanze siano banali e ripetitive, chi fotografa lo fa per ricordare attimi di vita: una gita in montagna, i bambini al mare, un gruppo di amici in posa davanti a un paesaggio o un monumento, ecc.
Album Rosso, agosto 1903, escursione al Ghiacciaio della Grande Casse

L’improvvisato fotografo prende tra le mani la fotocamera solo in occasione delle vacanze e la lascia  in un cassetto per il resto dell’anno. Il più delle volte non possiede alcuna conoscenza di tecnica fotografica, è sprovvisto di sensibilità artistica ed è contento quando i progressi della tecnologia consentono l’uso di macchine che risolvono da sole problemi di diaframma e tempi di posa. L’avvento del digitale in fotografia ha permesso l’esecuzione di centinaia di scatti nel corso di una giornata: si vedrà in futuro cosa fare di queste immagini,  ma…
Il sottile gioco della fotografia come “buco della serratura”, il ritrovarsi insieme agli altri, vedere cose nuove o ritornare in luoghi che suscitano ricordi, stimola una sensibilità in noi latente.
 Album Rosso, Aiguilles Sommet de Bucherel, agosto 1904

Può accadere che involontariamente si ottengano fotografie che nel taglio e nella composizione, si avvicinino a quelle di chi della fotografia ha fatto il mestiere della sua vita oppure a coloro che scelgono la fotografia per esprimere in modo coerente e continuo la propria sensibilità artistica.
          Album Rosso, La Grande Casse, agosto 1903

Spontaneamente il dilettante vacanziero crea fotografie diverse, e non solo per il valore di ricordo o bellezza formale, ma anche per quello di documento per la ricostruzione di un’epoca e di un certo clima culturale. Fotografie eseguite senza alcun progetto e che raccontano il mondo contadino, il lavoro oppure i riti della morte, sono oggetto oggi di studi approfonditi, di mostre e convegni ad alto livello. E attorno a tutto questo, si muovono interessi enormi legati alla proprietà delle fotografie e ai diritti d’autore, un giro d’affari che riguarda l’editoria, l’industria turistica e quella  culturale.
Le fotografie eseguite nel corso delle vacanze vengono conservate nei modi più diversi, spesso sono contenute in album sfogliati con la curiosità di vedere come si era stati bene solo la passata stagione o quando la gioventù prometteva una vita intera di felicità. Ma le fotografie sono anche una superficie opaca che cela il dolore, l’invidia, i risentimenti, il tradimento.
Quante coppie fotografate sono state felici?
Quanti gruppi di giovani fotografati, hanno visto uno o più componenti lasciare la vita pochi anni dopo quello o quell’altro scatto dell’otturatore?
Quante amicizie si sono spezzate dopo o mentre veniva eseguita una fotografia che ritraeva insieme alcune persone?
Quante antipatie si celano dietro queste fotografie?
Quando due fidanzati si lasciano o una coppia si divide definitivamente, una delle cose che vengono quasi subito sacrificate nel fuoco sono proprio le fotografie, traccia e ombra di ricordi  e illusioni. Distruggendo la fotografia si cerca di eliminare dalla propria vita l’altro/a chi ti ha deluso, offeso, tradito.
A meno che le immagini non appartengano al proprio archivio famigliare, rispondere alle domande che ponevamo sopra è difficile se non impossibile.
                 Album Rosso, Auteil estate 1904, al tennis

Gli album o gruppi di fotografie tenute insieme con un semplice cordino, non contengono spesso alcuna indicazione dei luoghi o delle persone.
E’ una fortuna trovare album in cui sono indicate date, luoghi e nomi.
Un album acquistato nel grande mercato delle pulci di Lione e che chiamiamo “rosso” per il semplice fatto di avere la copertina in tela cerata di color rosso, ci permette di ricostruire diversi momenti della vita di un gruppo di persone appartenenti a quella classe media in espansione che aveva imparato ad usare la macchina fotografica in modo intelligente. L’album è composto da 100 pagine e le date delle didascalie vanno dal 1903 al 1908, le fotografie  non riguardano solo immagini eseguite nel corso delle vacanze: c’è il servizio militare, il matrimonio, gli interni di case borghesi piene di oggetti e in cui le persone sembrano vivere fiduciose in una tranquillità che durerà per sempre, alcuni ritratti femminili e maschili.
Album Rosso, agosto 1903, al tennis (forse Pralognan). Sul retro di questa fotografia abbiamo trovato la seguente dedica: Un joli miroir sous un panama. Deux oeils peu serieux, qui feront mieux, une autre fois, de ne plus regarder mon objectif. 

Il fotografo non ritrae solo le persone, ma anche il paesaggio: è un fatto importante e indicativo di una sensibilità più complessa. Chi ha fotografato, questo personaggio che per noi non avrà mai volto ed è il grande “mistero” di tutta la storia che cercheremo di raccontare, intendeva fissare per sempre lo stupore provato nel vedere un certo luogo o spettacolo della natura. Questo stupore, un fatto psichico e visivo, si traduceva nel bisogno di fotografare, ossia ricordare un’emozione non solo con la memoria, bene che si può anche perdere, ma  con un oggetto tattile, materico e che è possibile conservare e lasciare in eredità: la lastra sensibile alla luce.
Il “fotografo misterioso”, personaggio che attraversa interamente questo lavoro, merita più attenzione.
Poco si è scritto nella storie della fotografia delle tante riviste fotografiche che sorsero quando si passò dalla fotografia di èlite a quella di massa. Le case produttrici di fotocamere e di materiale sensibile pubblicarono opuscoli e manuali che consentivano di imparare a fotografare e a  completare, con lo sviluppo e la  stampa, l’intero  processo produttivo di una fotografia. 


Un manuale fotografico pubblicato dalla ditta tedesca Gevaert negli anni venti del Ventesimo secolo


Quest’opera pedagogica portò alla rivelazione di veri e propri talenti che quando iniziarono a fotografare avevano a disposizione esempi offerti dalle riviste e potevano imparare a “copiare” in modo intelligente. In questo processo di imitazione si sperimentavano linguaggi nuovi, si utilizzavano tecniche innovative e d’avanguardia, venivano superati vecchi preconcetti e si fondava un’idea della fotografia come campo “autonomo” della sensibilità.
Il “fotografo misterioso” dell’album “rosso” non crediamo sia diventato fotografo professionista, ma applicò tecnica appresa da altri a cui unì sensibilità personale per produrre alcune immagini che potrebbero essere messe a confronto con altre che hanno segnato la storia della fotografia. D’altra parte alcuni grandi fotografi divennero professionisti per caso oppure per aver iniziato a fotografare appena adolescenti in seguito al regalo da parte dei genitori di una macchina fotografica, forse quella Kodak prodotta per un pubblico giovanile che sentiva nell’aria il vento della “velocità”.

il fotografo misterioso” dell’album “rosso” possiede una visione dell’inquadratura e presta un’attenzione alla luce che fa diventare una semplice scena di vita militare o una partita a tennis fra due ragazze, momenti unici colmi di solitudine, complicità, voglia di vivere di una gioventù che tra qualche anno dovrà affrontare la dura prova della Prima Guerra Mondiale.
Album Rosso, scena di vita militare, anno e località imprecisate

 Parigi 1906, partita a tennis


Parigi 1906, due scene di interno borghese

Nelle fotografie dell’album “rosso” c’è un altro protagonista dei tempi moderni che l’Europa sta vivendo all’inizio del secolo, l’automobile. L’autore, appassionato di automobilismo e forse anche lui pilota, ritrae alcune gare e fissa con lo scatto momenti che ci restituiscono una delle mitologie culturali di quell’epoca: l’azzeramento del tempo e dello spazio attraverso il carro di fuoco. La velocità della corsa automobilistica è unita alla visione dei progressi tecnici che consentono alle automobili da corsa di superare ostacoli costituiti da strade polverose ed inadatte,  di riparare in pochi minuti i guasti meccanici per riprendere la gara.
Album Rosso, corsa automobilistica, Ballon d’Alsace, 26 luglio 1908

L’album si apre con una serie di fotografie eseguite in montagna nel corso di alcune escursioni invernali, il fotografo riprende le diverse fasi dell’ascensione e si sofferma a fissare il paesaggio del Colle della Grande Casse, nei pressi di Pralognan.
C’è in queste visioni di montagna un aspetto comune a tutti coloro che a quel tempo andavano sulle vette e che ancora oggi ci vanno, quello della grande fascinazione di spazi aperti e inesplorati. Insieme a questo, il nostro fotografo misterioso colloca i protagonisti delle ascensioni all’interno di un paesaggio che è la misura della piccolezza umana dinnanzi alla vastità e la forza della natura.
            Album Rosso, la Grande Casse, luglio 1902

Si stavano creando in quell’epoca i presupposti di una fotografia naturalistica e di paesaggio montano che avrebbe visto, solo pochi anni dopo, l’affermarsi negli Stati Uniti d’America e in particolare nei grandi parchi e canyons della California, di uno stile  fotografico che con personaggi come Ansel Adams ed Edward Weston avrebbe fornito  esempi tutt’oggi validi e forse non ancora superati.